Il 2017 è stato l’anno della sorprendente e disturbante terza stagione di Twin Peaks, l’evento televisivo dell’anno. La nostra recensione
Uno dei tanti errori di valutazione che si è fatto in questi mesi è stato quello di etichettare Twin Peaks – The Return quasi come una serie a sé stante, una versione 2017 della storica serie di David Lynch e Mark Frost. Non è così. La storia di Twin Peaks vista nelle scorse settimane non merita di essere scissa da quella degli anni novanta, semplicemente perché – pur cambiando tantissimo rispetto a venticinque e passa anni fa – prosegue il discorso iniziato nelle due stagioni. Lo fa in maniera completamente stravolta.
L’attesa attorno alla terza stagione di Twin Peaks era altissima. David Lynch torna alla regia dopo undici anni. Il cast storico confermato completamente – tranne in alcuni casi – e la sensazione che il finale della seconda stagione – Bob che entra dentro Dale Cooper – andasse approfondito, arricchito.
Chi si aspettava un ritorno a quelle atmosfere è rimasto a bocca asciutta. La terza stagione di Twin Peaks è molto più ricca, amara e profonda di quella storica. A differenza delle prime due stagioni la terza non si svolge solo a Twin Peaks ma allarga il suo raggio d’azione a New York, Las Vegas, Buenos Aires. C’è poca Loggia Nera e molta più Loggia Bianca, per intenderci.
Questa terza parte è concepita come un unico film lungo diciotto ore. Diventa difficile – impossibile aggiungerei – giudicare la serie dopo aver visto solo tre o quattro episodi. E’ praticamente impossibile. La serie segue il ritmo incerto di Dougie Jones, uno dei personaggi più interessanti dell’universo lynchano, molto vicino – per tenerezza – all’Uomo Elefante ma anche al Raymond Babbitt di Rain Man. Un personaggio che ispira tenerezza, compassione, ma anche ilarità. Ma chi è Dougie Jones?
Venticinque anni dopo gli eventi della seconda stagione, l’agente speciale Dale Cooper è ancora intrappolato nella Loggia Nera. Nel frattempo a Twin Peaks Margaret Lanterman – la signora Ceppo – telefona al vice-sceriffo Hawk e gli comunica un messaggio da parte del suo ceppo. Qualcosa che riguarda l’agente Dale Cooper è perduto, qualcosa legato all’identità del vice-sceriffo. Hawk comincia a indagare riaprendo i vecchi fascicoli riguardanti Cooper. Scoprirà nuove sorprese e pagine di diario di Laura Palmer andate perdute.
Il doppelgänger di Dale Cooper – cioè il Cooper gestito da BOB e a piede libero da venticinque anni – è invischiato in diverse attività criminali. Si aspetta che Cooper – il GoodCooper – torni e lo uccida, e ha preparato una serie di trappole per evitare che ciò accada.
Nella Loggia Nera il vero Dale Cooper incontra sia Laura Palmer sia Leland Palmer. Incontra un albero parlante che rappresenta l’evoluzione del braccio di MIKE. L’albero afferma che per tornare nel mondo reale Cooper dove trovare BOB, ospite all’interno del suo doppelgänger, e farlo rientrare nella Loggia Nera. Lo dovrà uccidere.
Mentre Cooper abbandona la Loggia Nera e ritorna sulla Terra si scambia di posto con un altro doppelgänger, Dougie Jones. Dougie ha lo stesso aspetto dell’agente Cooper, ha una moglie che tradisce – nel momento dello scambio sta con una prostituta di colore, Jade – lavora nel settore assicurativo ed è famoso per essere un imbroglione.
A causa dello scambio Dougie Jones precipita nella Loggia Nera dove MIKE gli rivela che è stato costruito per uno scopo e che ora non è più necessario. Dougie viene tramutato in una perla dorata – che sarebbe poi il seme della sua creazione – e MIKE prende l’anello del Nano che portava al dito.
Tornato sulla Terra Cooper/Dougie non conosce nulla del suo passato. Non sa chi è. Sa solo che Jade, una prostituta nera di colore, lo chiama Dougie e lo accompagna a un casinò di Las Vegas. Cooper/Dougie non è solo. La Loggia Nera veglia su di lui, vuole indietro BOB e cerca di aiutarlo in ogni modo.
Chi conosce un minimo David Lynch sa benissimo che il doppio (in questo caso Dougie/Cooper ma la serie è piena zeppa di doppioni) rappresenta uno degli elementi fondamentali del suo modo di fare Cinema… ops televisione. Sembra che la terza stagione di Twin Peaks sia stata l’occasione per Lynch di tirare fuori dal cassetto vecchie idee, di unirle a quelle nuove e di creare un’opera definitiva, forse il suo testamento artistico e spirituale. Siamo davanti all’opera definitiva di un’artista a tutto tondo, la chiusura del cerchio di una carriera – cinematografica, ma Lynch è molto altro – iniziata quarant’anni fa.
In questo senso Twin Peaks mostra parecchie citazioni e riferimenti a tutti i suoi film. I fan in questi mesi si sono divertiti a trovare elementi di congiunzione delle sue opere, ma anche a cercare di capire tutti i messaggi del regista. Compreso il finale, ma a quello ci arriveremo tra poco.
Vivere Twin Peaks in tempo reale è stata un’esperienza unica, impagabile. Abituati ad avere tutto e subito (maledetto Netflix che carica le stagioni delle proprie serie tutte assieme) molti sono rimasti sconvolti e impotenti davanti a un elemento inaspettato: l’attesa tra una puntata e l’altra.
Ma com’è cambiata Twin Peaks in questi venticinque anni?
Fondamentalmente, è cambiata pochissimo, con i personaggi della cittadina bloccati a dov’erano 25 anni prima – Shelly in amore col più grosso stronzo del circondario; Big Ed a flirtare ancora con Norma; Nadine alle prese con i soliti problemi; James triste e solitario, ancora a cantare quella canzone; il dottor Jacoby a vendere pale via internet; Lucy a fare da segretaria retrò; il vero sceriffo in condizioni critiche e sotto varie cure; l’unico a fare eccezione è Bobby – fanno pensare che ci sia qualcosa di molto strano a Twin Peaks.
Come se la cittadina fosse rimasta legata all’evento dell’uccisione di Laura Palmer. Un loop continuo.
E qui possiamo collegarci con il finale. Durante la sedicesima puntata abbiamo visto che niente è come sembra. Audrey sembra essere incastrata in uno spazio tutto suo – il Roadhouse, un’estensione della sua mente malata che magari non accetta il fatto di essere stata violentata da BadCoop – mentre nella puntata successiva finalmente il GoodCoop torna a Twin Peaks e uccide il BadCoop.
Da questo momento diventa difficile capire cosa accade. Si vede il primo piano di Cooper che guarda da un’altra prospettiva quello che accade, ovvero lui che ritrova Diane, colei che conoscevamo come Naido. Il Buon Cooper dice ai suoi amici che è stato bello rivederli dopodiché assieme a Gordon Cole e Diane si reca nella famigerata stanza 315 del Great Northern Hotel, un passaggio per la Loggia Nera. Qui Cooper pronuncia la frase: Ci vedremo quando calerà il sipario… che sia una sceneggiata? O un sogno?
Cooper, grazie a Philip Jeffries, riesce a varcare le soglie spazio-temporali ed arrivare alla sera della morte di Laura. La riesce a salvare – si vedono le immagini della prima puntata di Twin Peaks senza il corpo di Laura, come se non fosse mai morte – e torniamo a casa di Sarah Palmer che prende la foto della figlia e la distrugge, come se volesse distruggere l’icona, il simbolo che Laura ha rappresentato.
A questo punto Cooper torna nella Loggia Nera, le immagini sono le stesse della prima puntata della terza stagione – torna il Nastro di Möbius un’ossessione per Lynch – con MIKE che pronuncia la storia frase: è il futuro o è il passato? Ma a differenza della prima puntata questa volta Laura non è nella Loggia. E’ missing. Scomparsa.
Cooper esce dalla Loggia Nera – com’era accaduto nelle primissime puntate della terza stagione – ma questa volta non finisce in Dougie Jones ma incontra Diane. Se Laura non è mai morta, BOB è stato sconfitto, quindi Diane non è mai stata violentata ed infatti è lì pronta ad accogliere il ritorno di Cooper. A questo punto i due in macchina compiono il viaggio che fece il BadCooper in macchina, solo che loro attraversano una sorta di portale che li porta in un’altra dimensione di notte, mentre prima era giorno.
Finiscono in un motel e qui Diane incontra – in questa nuova dimensione – un’altra Diane. Ma è un attimo. Forse una visione, o un sogno ad occhi aperti. Nel motel fanno sesso e nel mentre Diane copre il viso di Cooper. Al suo risveglio Cooper è da solo e legge un bigliettino. Caro Richard non ti riconosco più, tra noi è finita. Linda.
Cooper esce dal motel ma ci accorgiamo che è diverso rispetto a quello in cui entrambi sono entrati. Anche Cooper è diverso, cambiato. Forse anche il sesso è stato un portale per un nuova dimensione? Siamo a Odessa e Cooper va da Judy’s una tavola calda dove ci lavora una certa Carrie. Chi è Carrie? E’ la Laura Palmer che ce l’ha fatta, che in questa dimensione non è stata uccisa da Leland e che lavora come cameriera da Judy’s. Cooper prova a farle ricordare chi è davvero, e solo quando le nomina la madre, Sarah Palmer, Carrie ha un sussulto.
Lynch mette in scena il doppio, questa volta sdoppiando Laura con Carrie, una ragazza che non ricorda chi è davvero. Il salvataggio da parte di Cooper e il passaggio in un’altra dimensione le hanno cancellato la memoria, come accadeva – in parte – in Mulholland Drive. Carrie è una ragazza in difficoltà, c’è un cadavere in soggiorno, eppure l’agente Cooper dell’FBI non batte ciglio. Dopo un viaggio notturno in cui non accade nulla, finalmente Carrie/Laura torna a Twin Peaks. Ma è una cittadina diversa.
Una volta bussato alla porta di casa non apre Sarah Palmer, ma Alice Tremond che ha acquistato la casa dalla signora Chalfont. Cooper, confuso e dispiaciuto non sa darsi una spiegazione, chiede a Carrie/Laura in che anno siamo? prima che la casa chiami il nome di Laura che con un urlo di terrore chiude Twin Peaks forse per sempre. A questo punto la casa scompare.
Subito una precisazione: l’attrice che interpreta Alice Tremond, ovvero Mary Reber, è la VERA proprietaria della casa. Cioè se domani andate da quelle parti e suonate al 708 troverete lei ad aprirvi. Questo cosa vuol dire? Può voler dire che la parte finale è la realtà? Che Lynch abbia ucciso l’icona di Laura Palmer? Forse la nuova dimensione in cui sono capitati Richard/Cooper e Carrie/Laura è la realtà, il reale, dove non esiste la serie televisiva Twin Peaks – Laura ricordiamolo non è stata mai uccisa – e di conseguenza non esistono i personaggi.
Ma la casa si ricorda e chiama il nome di Laura che in preda al panico – non so più chi sono, una frase sentita da Audrey e Diane in questa meravigliosa terza stagione – urla di terrore, ricordandosi in parte del suo personaggio televisivo. Tutto molto Inland Empire, si direbbe.
Ovviamente questa è solo una versione della verità. Quella di chi scrive. In rete nelle scorse ore e nei prossimi giorni usciranno teorie assurde, bizzarre, in parte veritiere. Quel che è certo è che David Lynch ha disegnato l’ennesimo affresco surreale, violento, ansiogeno. Una summa del suo pensiero. Una critica all’America ma anche alla televisione che crea icone da usa e getta, proprio come Laura Palmer. Sappiamo anche un’altra cosa; che Twin Peaks ci mancherà tantissimo.