Figli di un altro Dio, un noir impostato come un giallo classico. La nostra recensione dell’opera prima di Pasquale Sorrentino

Un lavoro costruito come un giallo classico che poi vira sul noir. Una descrizione attenta dei particolari e dell’ambiente in cui si muovono i personaggi. E un affascinante intreccio tra leggende metropolitane e realtà di tutti i giorni.
Figli di un altro Dio (Caffèorchidea, 2023) di Pasquale Sorrentino è un romanzo molto interessante in cui scorgere diverse sfumature, tali da rendere lo scritto un ottimo prodotto.
La trama parte dall’uccisione di un maestro, residente a Milano ma originario di Polla, e di sua nonna.
L’atipicità del delitto, unita a sparizioni misteriose di alcuni bambini, porterà la Tenente Posca e il Maresciallo Lupo a immergersi in un’indagine avvolta nel mistero.
L’opera prima dello scrittore e giornalista campano mette in mostra una serie di elementi degni di attenzione.
Partendo dalla trama, in cui è presente un’impostazione classica per poi virare verso altri lidi letterari, Figli di un altro Dio si caratterizza, più precisamente, per descrizione, personaggi e luoghi.
I tre dati, che l’autore conosce molto bene come si evince dallo scritto, emergono tanto dalla fantasia quanto da un’attenta osservazione della quotidianità.
Sorrentino, infatti, non solo rende tangibile, attraverso le parole, ogni angolo della cittadina in questione. Ma pone l’accento su ogni cosa che gravita attorno, facendo leva su uno sguardo attento su ciò che lo circonda, tramite una perfetta trasposizione del mondo.
Ciò, oltre a far vivere direttamente la vicenda, rende le pagine familiari al lettore. Che tende ad affezionarsi ai soggetti presenti e perdersi tra i vicoli di un luogo specifico.
L’intreccio delle vicende, affiancato a una serie di leggende metropolitane, rappresenta la ciliegina sulla torta. In quanto ci si addentra, in maniera specifica, alla tradizione e agli usi delle location rappresentate.
Dal punto di vista prettamente letterario, invece, si nota una peculiare pianificazione del testo.
Lo scrittore usa periodi brevi che portano a un aumento continuo del pathos nella storia. E ci associa dei capitoli altrettanto brevi in cui inserisce diverse nozioni, funzionali tanto allo svolgimento dei fatti quanto all’evoluzione degli eventi stessi.
Infine, non è possibile non citare il finale.
Senza rivelare più di tanto, diciamo che, grazie a dei colpi di scena che si rivelano poi totalmente di volta in volta, l’epilogo di Figli di un altro Dio pare concepire anche un dopo. E noi non vediamo l’ora di leggerlo.