Gianluca Vialli, un campione in campo e fuori. Il nostro omaggio a una straordinaria persona

L’inizio dell’anno nuovo rispecchia purtroppo quanto avvenuto negli ultimi giorni dell’anno che l’ha preceduto. Nella notte tra il 5 e il 6 gennaio è giunta la dolorosa notizia della scomparsa di Gianluca Vialli.
I sentimenti e le emozioni di chi scrive alla notizia sono state intense. E ammetto che sono scese parecchie lacrime mentre in tv scorrevano le immagini emblematiche della sua carriera di calciatore prima e di manager e dirigente in seguito.
Ho provato a razionalizzare quei sentimenti e quelle emozioni. E mi sono reso conto che Vialli ha accompagnato la mia vita; con lui se n’è andato un personaggio che ha segnato, non solo in campo, il passaggio dal calcio antico a quello moderno a cui stiamo assistendo in questi anni.
L’epopea calcistica di Vialli ha attraversano i decenni degli anni 80 e 90 del secolo scorso. Un’epoca in cui il calcio poteva essere considerato romantico, quando le partite si giocavano tutte la domenica pomeriggio e alla stessa ora, quando la colonna sonora degli appassionati calciofili in gita domenicale era Tutto il calcio minuto per minuto, con le leggendarie voci di Ameri, Cucchi e Ciotti che uscivano dalle radioline portatili di qualsiasi dimensione.

La numerazione delle squadre era ancora rigorosamente dall’1 all’11, senza nomi sulla schiena. Eil numero 9 che solitamente indossava Gianluca, dopo l’11 a lui riservato all’inizio della sua carriera a Cremona, rappresentava il ruolo del centravanti, colui destinato a finalizzare il gioco creato dalla squadra e per cui, all’epoca, serviva un fisico possente per battere i difensori arcigni di quei tempi.
Vialli, insieme ad una squadra fantastica guidata da un allenatore istrionico, ha contribuito a realizzare un sogno per una città di provincia, calcisticamente parlando, come Genova, vincendo lo scudetto nel 1991. E penso che al di là di qualsiasi fede calcistica i veri appassionati si siano entusiasmati per quell’impresa, portata a termine da una squadra che giocava un gran bel calcio e che ha sempre dato l’impressione di divertirsi durante quella stagione. Quando si pensa a quella Sampdoria si ricordano solo Vialli e Mancini Ma di talento e tecnica quella squadra ne aveva da vendere. Basti ricordare che a centro campo oltre al gemello Mancini schierava Toninho Cerezo, abile brasiliano già nazionale del fantastico Brasile del 1982, Beppe Dossena, ex campione del mondo del 1982 ed ex bandiera del Torino, Attilio Lombardo, il classico mediano raccontato da Ligabue, in difesa altro campione del mondo Pietro Vierchowod, classico stopper che non faceva complimenti quando si trattava di intervenire su un attaccante avversario, e in porta un giovane Pagliuca, che si sarebbe poi confermato a livelli più alti raggiungendo anche la finale della Coppa del Mondo di USA 1994.

All’interno di quello spogliatoio Vialli è stato un assoluto protagonista. Un uomo che ha unito gli animi, gli spiriti e i caratteri di quella rosa e di tutte quelle di cui ha fatto parte, sia da calciatore che manager in seguito.
La sua ironia semplice e diretta, il suo essere istrionico in campo e fuori e anche se vogliamo quel suo non prendersi sempre sul serio. Considerando il suo essere calciatore non un lavoro o una professione bensì un dono, lo hanno fatto amare da tutti i suoi compagni di squadra ed allenatori che hanno avuto la fortuna di averlo in squadra.
Gianluca è stato anche un precursore, quando nel 1996 ritenne conclusa la sua avventura calcistica in Italia e decise di trasferirsi in Inghilterra chiamato da Ruud Gullit, allora allenatore del Chelsea. Perché precursore? Perché Vialli è stato il primo calciatore italiano a trasferirsi all’estero a giocare dall’epoca di Giorgio Chinaglia, che si trasferì a fine carriera nei tardi anni 70, per giocare nei Cosmos di New York nel primo tentativo, fallito, di lanciare il soccer negli Stati Uniti.
Vialli per il calcio inglese e per il ruolo che ricopriva era il giocatore perfetto. E il gioco ancora non così tattico ma soprattutto fisico che si giocava allora nella Premier hanno fatto amare l’attaccante italiano dal popolo inglese, così poco incline ad appassionarsi per qualsiasi cosa arrivi dal continente, non solo come calciatore. Ma anche come manager, ruolo che ha ricoperto prima al Chelsea e poi al Watford valorizzando e, se possibile, ampliando le capacità comunicative e di coesione di cui si parlava prima.

Con la scomparsa di Vialli il calcio italiano, ma tutta l’Italia, ha perso un mito, un personaggio conosciuto e riconosciuto in tutto il mondo per tutte le qualità descritte e che, come Gianfranco Zola e Paolo di Canio, ha fatto apprezzare il calcio italiano anche al di là della manica.
Mi porterò nel mente e nel cuore due immagini di Gianluca Vialli, banali sotto un certo punto di vista ma altamente significative. La prima è la Coppa dei Campioni alzata nel cielo di Roma da capitano della Juventus nel 1996 per motivi di fede calcistica. La seconda, invece, è l’abbraccio che abbiamo vissuto in diretta con il compagno, amico e fratello di una vita Roberto Mancini nel momento in cui l’Italia è diventata Campione d’Europa nel 2021. In quel gesto si celano mille significati, personali, sportivi, di vendetta (sportiva), e forse per entrambi un presagio che quel momento di gioia collettiva potesse essere l’ultimo perché la malattia stava per presentare il suo conto al destino.