Pelè e Mihajlovic: uomini prima di calciatori. Il nostro omaggio a due straordinari sportivi

Gli ultimi giorni di questo 2022 sono stati segnati e saranno ricordati a lungo per la scomparsa di alcuni personaggi sportivi che hanno fatto la storia nei loro specifici settori di appartenenza.
In queste righe mi vorrei soffermare sulla scomparsa di O’Rey e di Sinisa Mihajlovic cercando di trovare, tra le innumerevoli parole scritte e dette sui due atleti, un punto che accomuna entrambi.
Ovviamente non tratterò di argomenti tecnici e sportivi, anche perché è palese l’enorme differenza di tempi, talento e contesti in cui i due calciatori hanno vissuto e giocato. Ed eviterò anche di elencare gli innumerevoli successi di entrambi in ambito agonistico.
Quindi cos’hanno in comune Pelè e Mihajlovic?

Le origini sicuramente: entrambi nati e cresciuti in contesti familiari borghesi, con un’educazione basata sulla disciplina e sull’umiltà, rispettosi e riconoscenti verso genitori che svolgevano lavori comuni e che hanno sopportato sacrifici per favorire le passioni e i talenti dei propri figli.
Questa infanzia sotto un certo punto di vista così comune e allo stesso tempo così formativa, ha contribuito a forgiare gli uomini prima dei calciatori, a prescindere dal talento innato e naturale di Pelè e dalle doti fisiche e balistiche di Mihajlovic.
Nell’arco della loro carriera dentro e fuori dal rettangolo verde hanno sempre avuto grandi estimatori. Prima di tutto in merito alla loro caratura e sensibilità umana e conseguentemente per le doti calcistiche.
Li accomuna il male che ce li ha portati via: sicuramente più dolorosa la morte di Sinisa a soli 53 anni. Ma anche in questo caso, per entrambi, c’è stata la famiglia che li ha supportati nella lunga battaglia per la sopravvivenza.

Ed entrambi nella malattia non hanno mai fatto mancare un sorriso e un incoraggiamento agli eventi a cui hanno partecipato, si ricordi la sorpresa di Mihajlovic alla presentazione del libro di Zeman, quando probabilmente era consapevole che per lui fosse quasi giunto lo striscione del traguardo.
Altro punto in comune è stato il coraggio. Per Pelè quello di uscire dalla favela nel quale è nato e cresciuto per entrare a soli 16 anni nel Santos, con le difficoltà di confrontarsi con ragazzi di estrazione diversa dalla sua e con la responsabilità di dimostrare prima alla sua squadra e poi la mondo intero il suo enorme talento, sbocciato ai mondiali di Svezia del 1958 quando, a malapena diciottenne, ha permesso al suo Brasile di conquistare la Coppa Rimet per la prima volta.

Per il Mihajlovic il coraggio si è espresso mantenendo sempre fede alle proprie idee, anche quando erano (anche politicamente) scomode. Soffrendo avendo vissuto la guerra che ha funestato la ex Jugoslavia nei primi anni 90, ma soprattutto per il coraggio con il quale ha combattuto la malattia che lo ha colpito nel 2019. Una malattia che non ha voluto nascondere, dichiarandola apertamente durante conferenze stampa nelle quali non si è mai vergognato del fatto di aver pianto e di aver, comprensibilmente, avuto momenti di sconforto. Sconvolgente, con il senno di poi, la dichiarazione durante la conferenza stampa del marzo 2022 durante la quale ha annunciato la ricomparsa della leucemia che si credeva battuta, in cui affermava che la malattia è stata “molto coraggiosa per tornare da uno come me”. Un grido di battaglia di un guerriero che non vuole perdere la sua guerra più importante.
In conclusione, possono passare i tempi, le generazioni, può cambiare il gioco del calcio ma i nostri supereroi in maglietta e calzoncini che corrono dietro un pallone di fronte a decine di migliaia di persone, alimentando le nostre fantasie e facendoci esaltare per le loro gesta, sarebbero fini a se stessi se alla base non ci fossero prima di tutto Uomini. Persone con valori antichi ed imprescindibili. Sempre con il sorriso sul volto di chi sa di poter sempre guardare il prossimo con grande serenità e che ha combattuto le sue battaglie, personali e non, fino alla fine con grande fierezza.