Carrie, l’esordio letterario di Stephen King. La nostra recensione del romanzo datato 1974

Quando si parla del genio di Stephen King di solito si tende a non prendere tanto in considerazione la tortuosa strada che lo scrittore di Portland ha dovuto percorrere.
Infatti, se si facessimo un salto nel tempo ci accorgeremmo della particolare storia che ha condotto l’autore ad esplodere nella letteratura.
La storia di Carrie, suo primo romanzo del 1974, evidenzia perfettamente questo dato.
In quegli anni King scriveva racconti per la rivista Cavalier. Aveva in mente una storia precisa, ma non riusciva a mettere a punto tutto ciò che intendeva raccontare.
La prima stesura del racconto base non riuscì a soddisfare l’autore, che decise di gettare via lo scritto. Ma poi, grazie all’incoraggiamento della moglie Tabitha (che lo esortò a presentare il tutto ad un editore), portò alla luce il primo di una lunga serie di capolavori.
Nacque così Carrie, per l’appunto. Storia di una ragazza dotata di poteri telecinetici, con una madre ultra religiosa e bullizzata continuamente dai compagni di scuola.
Le vicende che si susseguono nel romanzo sono arcinote, anche per il magistrale lungometraggio diretto da Brian De Palma nel 1976.
Ciò che stupisce maggiormente, invece, sono dei tratti specifici di questo lavoro che introdurranno un nuovo tipo di genere letterario e modellerano lo stile dello scrittore.
L’innovazione maggiore è, senza dubbio, quella di un nuovo tipo di genere.
Carrie non è un horror. Anzi, è molto più di quanto potrebbe apparire ad un primo sguardo.
Il romanzo, in pratica, è uno spaccato tra ciò che la letteratura ha offerto in precedenza e una differente trasposizione letteraria basata su specifiche regole.
Le ultime, in sostanza, sono quelle che caratterizzerano i successivi romanzi e il tipo di scrittura di King.
Le descrizioni minuziose, i flashback continui e una più ampia trattazione del mostro di turno diventeranno in futuro un marchio di fabbrica nei progetti da quel momento in poi.
Tra questi, quello che colpisce maggiormente è quello inerente il cattivo della storia.
Se Carrie, la protagonista, porta con sé quell’alone di malvagità, lo stesso si può dire per tutte le altre componenti.

Chamberlain, come sarà anche Derry, non è proprio la ridente cittadina americana che tutti si immaginano. Ma un concentrato di virtù pubbliche e vizi privati, che inevitabilmente plasmano le azioni e la psiche del personaggio principale.
In poche parole, in Carrie non si riesce a patteggiare per l’una o l’altra parte in maniera netta. Ma si considerano gli eventi così come vengono presentati, propendendo di volta in volta per una fazione o quella opposta.
I racconti nel racconto, poi, amplificano la portata della struttura del romanzo.
Le testimonianze rese da documenti, libri e direttamente da coloro che hanno vissuto la scena, non solo permettono di ricollegare tutti i pezzi ma inducono a vivere un’esperienza in prima persona di quanto descritto.
In sintesi, Carrie è un libro da leggere assolutamente. Per gli appassionati di genere e non.
Grazie al Re per il suo infinito genio. E ancor di più a Tabitha per averci permesso di conoscere tutto questo mondo fantastico.