Top 20 – I dischi del 2020. Ecco i dischi più significativi e importanti dell’anno. Buona lettura e buon anno da Diario di Rorschach
20. AC/DC: Power Up
La strada che ha portato a Power Up è la più difficile che gli AC/DC abbiano mai percorso dall’epoca di Back In Black, registrato subito dopo la morte di Scott esattamente 40 anni fa. Durante il tour di Rock Or Bust del 2016, Brian Johnson ha iniziato ad avere seri problemi di udito. La storia degli AC/DC sembrava finita. E invece Power Up segna il ritorno della formazione storica degli AC/DC. Intendiamoci: niente di nuovo e ci mancherebbe, ma che bello sentire ancora la voce di Johnson e la chitarra di Young.
19. Pearl Jam: Gigaton
Anche in questo caso, niente di nuovo sotto il sole. I Pearl Jam giocano con i suoni – il singolo Dance Of The Clairvoyants è efficace – ma la sensazione è quello di già sentito. E, soprattutto, che il meglio della band di Seattle sia uscito ormai tanto, tanto tempo fa. Gigaton è uscito sette anni dopo l’ultimo, anche questo evitabile, Lightning Bolt. Per i fan sfegatati. QUI la nostra recensione.
18. The Strokes: The New Abnormal
Un’attesa non breve, anche in questo caso sette anni. The New Abnormal è composto da nove brani per quarantacinque minuti di musica. Forse qualcosa si guasta sul finale, con qualche pezzo un po’ troppo pesante. Nonostante questo The New Abnormal è il disco di cui gli Strokes e tutti quanti avevano bisogno in questo momento. Un buon lavoro di musica figa. Bravi Strokes e bentornati.
17. Smashing Pumpkins: Cyr
Un ritorno strano quello degli Smashing Pumpkins. Nonostante nella formazione ad oggi ci siamo ben tre chitarre Cyr è un disco composto pesantemente da synth. Da un lato si apprezza la svolta sonora, l’ennesima, della creatura di Billy Corgan. Dall’altro non nascondiamo un po’ di stranezza per un doppio – ben venti pezzi – che poteva essere snellito. Una buona prova anche se questa volta esagerata.
16. Calibro 35: Momentum
La ricetta la conoscete: post-rock cinematografico (Death Of Storytelling), sound electro (Automata), omaggi a John Carpenter, momenti spiccatamente jazz e funk espressi attraverso i fiati di Enrico Gabrielli all’interno di diversi pezzi di Momentum, una vera e propria esplosione di groove. I Calibro 35 sono una realtà sempre più solida nel nostro, ahimè, sterile panorama musicale. Momentum lo conferma alla grandissima.
15. X: Alphabetland
A 35 anni dall’ultima volta in studio della formazione originale tornano gli X, portento punk dei primi anni ottanta. Il risultato è Alphabetland ed è come se il tempo non si fosse mai fermato. La X brucia come nel 1977 e il punk è ancora – per fortuna – una cosa seria, i maestri sono tornati a ricordarcelo come sempre senza fare prigionieri. Fa un certo effetto parlare degli X nel 2020 ed è ancora più strano affermare che questo è davvero un bel disco.
14. Motorpshyco: The All Is One
Prendete i Deep Purple, i Black Sabbath, i King Crimson, i Grateful Dead e la musica colta. Uniteli in un unico e grande tutto, in un trip psichedelico di sicuro effetto portante, otterrete il sound dei Motorpsycho. The All Is One affina il tiro di questi ultimi anni, donando una summa degli ultimi dischi, con la grazia e la tonalità più opportuna, non scontentando mai nessuno. Lunga vita ai Motorpsycho.
13. Deftones: Ohms
Altro disco attesissimo nel giro del rock alternativo. Ohms non delude i fan della band di Chino Moreno. Prodotto dallo storico Terry Date che fece la fortuna dei Deftones nei primi dischi, il sound di Ohms è un deciso, piacevole ritorno a casa per il gruppo di Sacramento. Il sound rimane fedele a quello dei primi dischi, ma viene ulteriormente appesantito. Un gran bel lavoro, specie per chi vuole avvicinarsi ai Deftones.
12. Tame Impala: The Slow Rush
Tutto scritto, arrangiato ed eseguito dal solo Kevin Parker, deus ex machina dei Tame Impala, il quale continua a esporre il vessillo dell’eroe solitario. Questa volta l’ossessione di Parker è trasformare il mondo in una grande discoteca ultra-colorata ed iper-pop, peraltro riuscendoci perfettamente nel bellissimo singolo Borderline. Per il resto Slow Rush si imbatte nei sentieri del rock psichedelico, regalando diverse perle ai fan dei Tame Impala.
11. Bugo: Cristian Bugatti
Il 2020 è stato l’anno di Bugo. Ha partecipato a Sanremo, si è fatto (volente o nolente) tanta pubblicità. Quest’anno è uscito l’omonimo Cristian Bugatti che prosegue il discorso del precedente Nessuna Scala Da Salire. E’ arrivato il successo in tutto lo Stivale, assolutamente meritato per il buon Bugatti che sforna un disco molto cantautoriale con la solita vena ironica e dissacrante. Bravo Bugo, aspettiamo di vederti dal vivo.
10. Samuele Bersani: Cinema Samuele
Samuele Bersani rappresenta il cantautore per eccellenza. Per ascoltare brani nuovi abbiamo dovuto aspettare la bellezza di sette anni ma ne è valsa decisamente la pena. Cinema Samuele è un disco elegante, sopraffino, curato negli arrangiamenti. Un disco assolutamente sorprendente da parte di uno dei cantautori più apprezzati nel nostro Paese.
9. Giorgio Canali & Rossofuoco: Venti
Un doppio album, venti canzoni pensate come operazione anti-noia durante il lockdown. Venti è nato durante il Grande Panico Globale del 2020, all’inizio di marzo. Dice Canali: Isolati e confinati nei nostri rispettivi ambienti domestici, rifiutandoci di partecipare alle farse consolatorie dei miniconcerti in streaming e alle balconate pomeridiane, abbiamo iniziato a registrare, ognuno con i propri mezzi, spunti e idee e abbiamo cominciato a scambiarceli. È un album figlio dei nostri tempi disgraziati e delle connessioni internet ad alta velocità. Come dargli torto?
8. Fiona Apple: Fetch The Bolt Cutters
In linea con lo spirito contrario di Fiona Apple questo Fetch The Bolt Cutters è caratterizzato dai suoni e dagli spazi della casa in cui è stato concepito. Tra prese diretta e semi-improvvisazioni con la sua band, il sound di Fetch The Bolt Cutters nelle stranezza della dimensione domestica riesce a catturare a meraviglia un senso di urgenza e insofferenza per lo status quo. Un disco da lockdown.
7. Matt Berninger: Serpentine Prison
Il primo solista di Berninger – voce dei The National – è un album intimo, malinconico ed enigmatico, che rinuncia ai toni epici del sound del gruppo per atmosfere più raffinate ed eteree. Il disco è pieno di canzoni che evolvono con calma, con arrangiamenti elaborati. Un album di canzoni depresse come questo corre il rischio di essere noioso e indulgente ma Berninger se l’è sempre cavata trattando l’autocommiserazione con ironia, prendendosi amabilmente in giro. Un disco di classe.
6. Bruce Springsteen: Letter To You
Dal punto di vista musicale c’è il ritorno (mai così tanto atteso) del muro di suono creato dalla E Street Band, un disco registrato totalmente live senza sovra incisioni e con la potenza del rock che solo una macchina superbamente oliata può creare, anche se la suddetta macchina ha circa 50 anni. La batteria potente e precisa di Max Weinberg, gli incisi raffinati del pianoforte del “Professore” Roy Bittan, la particolarità dell’organo Hammond di Charlie Giordano, i preziosi giri di basso di Garry Tallent, la sfida di assoli e ritmica di Nils Lofgren e Miami Steve Van Zandt e il sax di Jake Clemons. QUI la nostra recensione.
5. Gorillaz: Song Machine
La creatura di Damon Albarn non ha mai avuto un’identità così indefinita. Questo potrebbe spiazzare i puristi, in realtà Song Machine mostra la natura più eclettica di uno dei gruppi più trasversali venuti fuori negli ultimi vent’anni. Oggi i Gorillaz più che una band sono un contenitore musicale senza forma dove c’è spazio per Elton John e Skepta, i Cure e St. Vincent. Più che un disco, un jukebox. Buon ascolto.
4. Ozzy Osbourne: Ordinary Man
Ordinary Man potrebbe suonare come il più classico degli epitaffi, con Ozzy Osbourne che ha rimandato a inizio anno il suo ultimo tour e che ammette di non riuscire a recuperare le forze dopo un intervento. L’ex voce dei Black Sabbath ha dichiarato di avere il Parkinson e chiede ai fan di stargli vicino. È una storia triste che assomiglia molto agli ultimi anni di vita del suo amico Lemmy Kilmister. Eppure la sensazione ascoltando questo disco è che Ozzy abbia ancora tanto da dire e da raccontare, dietro il suo sorriso beffardo.
3. Nine Inch Nails: Ghosts V-VI
Nato dalla quarantena e dall’isolamento forzato, Ghosts V-VI è il regalo di Trent Reznor e Atticus Ross ai fan in un momento storico tanto tragico. Rilasciati come download gratuito il 26 marzo, i due album continuano il percorso intrapreso nel 2008 con Ghosts I – IV
Il primo capitolo percorre il tentativo di approccio ottimistico al lockdown, tentativo di apprezzare la propria solitudine. Il secondo capitolo abbandona ogni ottimismo per entrare nella psicosi pulsante e nella paranoia dell’isolamento forzato. Insomma, la colonna sonora ideale di questo 2020.
2. Idles: Ultra Mono
Una delle poche, pochissime realtà musicali del Regno Unito, a cavallo tra post-punk e industrial rock. Ultra Mono è un disco perfetto, che lancia gli IDLES in tutto il mondo a colpi di slogan e di ritornelli urlati. L’indignazione, la rabbia, i sentimenti tipici del punk vengono aggiornati al 2020, e si uniscono all’intolleranza nei confronti delle divisioni, del fascismo e del razzismo più becero. Gli IDLES suonano attuali, rabbiosi e rivoluzionari. Sorpresa.
1. Run The Jewels: RTJ4
I Run The Jewels, duo composto da EL-P e Killer Mike ha pubblicato RTJ4 nel momento giusto. I due hanno deciso di regalare la copia digitale del disco, proprio durante l’estate bollentissima americana per sostenere il movimento Black Lives Matter. I versi di Walking In The Snow sono profetici, scritti un anno fa in riferimento all’omicidio di Eric Garner, un afroamericano ucciso dalla polizia nel 2014, con quel “I can’t breathe” che sembra parlare dell’omicidio di George Floyd.
Per il resto siamo davanti all’hip hop del futuro, con una produzione che fa esplodere qualsiasi impianto HI-FI (curata da Josh Homme) e con le collaborazioni con Zack De La Rocha e Pharrel Williams. Più che un disco, una testimonianza di un periodo storico mai così travagliato. Disco dell’anno.