Misery, il thriller psicologico di Stephen King. La nostra recensione del romanzo datato 1987

Nel 1984 la vita di Stephen King è condizionata da una serie di fattori che influenzano la sua esistenza.
Nonostante ciò, però, il re dell’horror decide di affrontare a suo modo il tutto e quindi si mette al lavoro per parlare di queste problematiche.
La sua mente partorisce l’ennesimo capolavoro. Un romanzo molto personale. Che sbatte in faccia a lui e ai suoi lettori la realtà di quei giorni: Misery.
Pubblicato nel 1987 – e vincitore del premio Bram Stoker – Misery è un lavoro molto particolare.
Intenso, carico di adrenalina e con un forte elemento psicologico.
La trama narra una storia singolare ed inquietante. Quella di Paul Sheldon.
Paul Sheldon è uno scrittore molto in voga per la sua saga sull’eroina Misery Chastain.
Dopo un brutto incidente con la sua Camaro – successivamente la stesura del nuovo romanzo (Bolidi, considerato un capolavoro da lui) – viene salvato da Annie Wilkes.
Annie, però, non è una persona qualunque. E’, infatti, la sua fan numero uno (come si definisce sin da subito). Ma soprattutto è una personale pericolosa e molto instabile mentalmente.
Contrariata dopo aver letto Il figlio di Misery (ultimo libro della saga) e Bolidi (che lei odia), lo costringe – attraverso torture fisiche e psicologiche – a scrivere un nuovo romanzo sull’eroina da lei tanto amata.
Misery è un romanzo unico. Dove King riesce ad esprimere il meglio di sé utilizzando solamente due personaggi e un unico ambiente.
Gli elementi portanti sono molteplici e ognuno con una specifica portata nello scritto.
Innanzitutto è necessario dire che Misery è un romanzo claustrofobico.
L’intera storia si svolge in una stanza. Quella dove Paul è tenuto prigioniero da Annie. E quella dove i fatti si evolvono di volta in volta.
Il resto della casa viene riportato solo in poche occasioni e per la maggior parte viene descritto magistralmente dallo scrittore attraverso la rappresentazione dei rumori e delle sensazioni dello scrittore.
Questo espediente assume un duplice significato.

Il primo individuabile nella gabbia in cui può rimanere intrappolato uno scrittore (come Paul con Misery).
Il secondo nella prigione fittizia in cui è piombato King in quegli anni.
Lo scritto, inoltre, gira attorno un altro elemento fondamentale: l’ossessione.
Il fattore in questione viene esplicitato sotto diversi punti di vista che investono tanto Annie (con l’ossessione per Paul Sheldon e soprattutto Misery) quanto lo stesso Paul (con lo scritto Il ritorno di Misery).
Anche in questo caso King cerca di dare una duplice immagine del mondo.
Da un lato quella dei cosiddetti fans accaniti, che spesso si tramuta in qualcosa differente molto più vicina all’adorazione incondizionata. Dall’altro quella di uno scrittore di fronte a qualcosa da lui creata e considerata capolavoro.
L’ossessione, però, viene resa ancora meglio attraverso un ulteriore argomento: quello della tossicodipendenza.
Grazie alla descrizione della dipendenza dal Novril (medicinale di fantasia) di Paul, l’autore cerca di esternare e superare il periodo della vita che sta vivendo.
King, in pratica, si mette a nudo di fronte ai suoi lettori, cercando in questo modo di debellare la problematica stessa.
Oltre a ciò, Misery si caratterizza anche per la compartecipazione del lettore alla storia.
Il romanzo riesce, ancor più degli altri, nell’intento tramite due componenti.
La presenza di un romanzo nel romanzo, che rende spettatori invisibili coloro che hanno tra le mani il libro. L’utilizzo di tantissime metafore, utili a precepire le sensazioni e i suoni di quella realtà.
In sostanza, Misery è un lavoro appassionante. Da leggere e vivere allo stesso tempo.
Che ti trasporta in una singolare atmosfera thriller. E ti permette di osservare la quotidianità con occhi diversi, mediante la condivisione di un determinato frammento di vita vissuta.