La recensione del nuovo attesissimo disco di Bruce Springsteen, Letter To You, una sorta di ritorno a casa per il Boss
Venerdì 23 Ottobre è uscito il nuovo album di Bruce Springsteen intitolato Letter To You. Per il rocker del New Jersey si tratta del ventesimo album registrato in studio e il primo dopo parecchi anni affiancato dalla fidatissima E Street Band.
Su questo disco nei giorni scorsi sono state scritte numerose recensioni, ciascuna delle quali analizza l’album sia dal punto di vista musicale che da quello poetico, e ogni autore ha utilizzato chiavi di letture diverse per interpretare il messaggio del cantautore.
Questa premessa è fondamentale per chiarire che in questo spazio non si vuole in alcun modo denigrare o “contestare” recensioni ed opinioni di giornalisti specializzati, ma contribuire, da semplice appassionato e con un’analisi personale, di conseguenza ampiamente contestabile, a trasmettere le emozioni che ha suscitato l’album provando a decontestualizzarlo dal singolo lavoro per cercare di inserirlo in un quadro più ampio sia di tempo che di opere.
Possiamo dire che questo disco sia il quarto step di una fase molto introspettiva e personale del Boss, che è iniziata dalla stesura e pubblicazione dell’autobiografia nel 2016 e repentinamente seguita dalle esibizioni in teatro a Broadway.
In entrambi Springsteen sembra voler fissare, su carta e musicalmente, il suo passato; quasi abbia paura di perderlo e allo stesso tempo per evitare di guardare avanti verso la successiva fase della sua vita.
Di fatto un uomo che è consapevole dell’età che avanza ma che non lo vuole accettare, nonostante sulla sua strada abbia già perso due componenti della sua storica band.
Nel 2019 esce in maniera quasi inaspettata l’album Western Stars, un disco unico nella discografia di Springsteeen, che abbraccia un rock melodico tipico degli anni 50 e 60 e la musica folk americana, e che alle chitarre elettriche e agli organi Hammond sostituisce un’orchestra completa, creando un capolavoro musicale che viene esaltato nella registrazione dal vivo che ha fatto da colonna sonora al film omonimo.
Parlando della parte poetica di Western Stars possiamo dire che il Boss narra le storie di personaggi che apparentemente non hanno più nulla da chiedere alla loro vita, si leccano le ferite del passato e sembra che aspettino solo il capitolo finale della loro storia, la morte.
Ma il concetto di morte non è mai trattato in modo diretto, bensì lasciato sullo sfondo, abbozzato, quasi deducibile all’ascolto ma mai esplicitamente dichiarato.
Ed eccoci finalmente a parlare di Letter To You, anno 2020, il mondo in piena pandemia COVID – 19 e il Boss pubblica un’opera in cui ci comunica che ha fatto pace con se stesso e soprattutto con il tempo che passa; non solo, combatte (con le canzoni) la morte e ci dice che vuole utilizzare il tempo che gli rimane per fare il più possibile la cosa che gli è sempre riuscita meglio… scrivere, comunicare e suonare dal vivo.
Peculiarità dell’album è che per la prima volta stiamo parlando di un disco autobiografico. L’autore che ha sempre utilizzato i suoi personaggi per comunicare i propri ideali questa volta si mette in gioco in prima persona.
Dal punto di vista musicale c’è il ritorno (mai così tanto atteso) del muro di suono creato dalla E Street Band, un disco registrato totalmente live senza sovraincisioni e con la potenza del rock che solo una macchina superbamente oliata può creare, anche se la suddetta macchina ha circa 50 anni. La batteria potente e precisa di Max Weinberg, gli incisi raffinati del pianoforte del “Professore” Roy Bittan, la particolarità dell’organo Hammond di Charlie Giordano, i preziosi giri di basso di Garry Tallent, la sfida di assoli e ritmica di Nils Lofgren e Miami Steve Van Zandt e il sax di Jake Clemons.
Alla già citata scomparsa di due E Streeters (Danny Federici e Clarence Clemons) si aggiunge la scomparsa di George Theiss componente della prima Band del giovane Springsteen (The Castiles), e al ricordo dei tre amici il Boss dedica tre canzoni dell’album: Last Man Standing in cui l’autore realizza di essere l’unico superstite della sua prima band, e innalza una sorta di preghiera nella quale chiede “Sono l’ultimo rimasto, il prossimo sarò io e allora, angeli, quando verrete a prendermi, portatemi in un posto dove possa suonare ancora, fatemi sentire anche lassù il calore della gente” , Ghosts imponente e potente pezzo, già da molti fan ipotizzato come brano di apertura dei concerti, nel quale nel suo processo di “esorcismo” alla morte, l’autore chiama a se i fantasmi degli amici persi sapendo che le loro anime sono sempre con lui e puntualizzando alla fine del brano “Io sono vivo e sto tornando a casa”. In questa frase c’è l’essenza di Letter To You: il Boss ha sconfitto i suoi demoni, ha somatizzato il fatto di essere entrato nell’ultima fase della sua vita ma che allo stesso tempo non ha paura di affrontare la morte, anzi la sfida apertamente con l’unica arma che ha a disposizione, la musica, e sa che per fare questo deve tornare a casa, intendendo come tale la sua famiglia, i suoi affetti e gli amici di una vita.
Il terzo brano dedicato agli amici scomparsi è I’ll See You On My Dreams che contiene un altro messaggio fondamentale dell’album: la morte non è la fine, è (metaforicamente) l’attraversamento di un fiume, al di là del quale “Ci incontreremo, vivremo e ameremo di nuovo”.
L’album contiene, inoltre, tre brani che pur essendo inediti hanno 40 anni sulle loro spalle, ed erano contenuti in una demo che il Boss inviò a John Hammond (talent scout della CBS) per convincerlo a produrre un suo album.
Janey Needs A Shooter, Songs For Orphans e If I Was The Priest, contengono tutte le caratteristiche di scrittura e composizione del giovane Springsteen: linguaggio cinematografico, brani di una durata superiore ai “canonici” quattro minuti, e dovizia di particolari e personaggi che si intrecciano l’uno con l’altro, ma più di tutto c’è un’ispirazione a Bob Dylan (di cui allora si diceva che Springsteen sarebbe diventato l’erede) che viene riproposta nelle nuove produzioni in maniera assolutamente fedele e genuina.
Un altro pezzo che esula dalla trama portante del disco è Rainmaker: si tratta di un brano politico di denuncia, in vista delle recenti elezioni presidenziali americane, dell’operato di Trump in questi quattro anni di presidenza. Il Boss si è sempre politicamente schierato dalla parte dei democratici e in questo brano identifica Trump come il “Mago della pioggia”, ovvero un millantatore che promette la pioggia dopo lunghi periodi di siccità ma non mantenendo le sue promesse.
Ritornando al “fil rouge” dell’album degna di nota è il brano di apertura del disco One Minute You’re Here, splendida ballata acustica, all’interno della quale c’è il primo vero e proprio richiamo alla morte metaforicamente rappresentata come un treno nero che corre sui binari, poi la title track che è palesemente una lettera aperta ai suoi fan dove il cantautore confessa di essere sempre stato onesto verso il suo pubblico e di non aver mai omesso nulla nella sua scrittura, scrivendo “con inchiostro e sangue” le storie che nascevano dalla sua anima firmandole sempre con il proprio nome.
Poi Burnin’ Train, primo brano di “affronto” alla morte, nella quale il Boss tramite apparenti rituali non esattamente cattolici ma piuttosto pagani si ribella ad essa chiedendo di essere preso ed allontanato da quella trappola mortale.
Ho lasciato per ultimi The Power Of Prayer, una coppia che ha vissuto la propria vita insieme come può affrontare la morte? La risposta è nel titolo, la preghiera è la musica e per affrontarla insieme la musica deve essere ballata sullo note di Ben E. King.
E poi House Of A Thousand Guitar, uno dei brani preferiti di questo album dal Boss (a detta dei ben informati) che è pezzo di speranza sia rivolto ai fans che a Springsteen stesso “Quindi possiamo scrollarti di dosso i tuoi guai, amico mio, andremo dove la musica non finisce mai, dagli stadi ai bar delle piccole città, illumineremo la casa delle mille chitarre”. La voglia di tornare a vivere, di scrollarci di dosso questo momento di dolore e tristezza mondiale dovuto alla pandemia. E qual è il modo migliore per festeggiare la fine di un brutto periodo? Semplice, trovarsi in un posto dove si suoni e ci si diverta con la musica, non importa che esso sia un bar, una piazza o uno stadio. E per Springsteen la musica dal vivo è importante come l’aria che respira.
In conclusione Letter To You può essere definito come il ritorno a casa del Boss, la SUA musica è tornata, per la prima volta ha scritto in prima persona regalando ai fans tutto se stesso in maniera definitiva, e tornerà a breve (si spera) ad andare in giro per il mondo a suonare per le moltitudini di fan sparsi nel mondo combattendo tutti insieme ogni notte la battaglia contro la morte armati di chitarra elettrica (lui) e voce e gioia di vivere (il pubblico).
Vorrei ringraziare Andrea Carniglia per il confronto amichevole e schietto da cui deriva questo pezzo.
Luca Di Lonardo
Bella recensione!!!