LeBron James

Il 2020 di LeBron James

Il 2020 è stato un anno strano anche per LeBron James. Una serie di eventi hanno cambiato il modo di percepire il #23 dei Los Angeles Lakers


La prima immagine di questo 2020 per LeBron è stata la morte di Kobe Bryant. Gennaio 2020: tutto il mondo si è fermato per celebrare l’icona del basket. Ha fatto il giro del mondo l’immagine di LeBron in aeroporto, sconvolto per la morte di Kobe. Qualche giorno prima il #23 aveva superato proprio Kobe nella classifica dei migliori marcatori della storia dell’NBA. Le immagini del pianto a dirotto di King LeBron hanno fatto il giro del mondo e hanno testimoniano lo stato d’animo di milioni di sportivi.

A marzo la chiusura causa Covid-19 della stagione NBA sembrava far presagire un’amara sconfitta per il mondo Lakers: nel momento in cui occorreva celebrare Kobe, magari con la vittoria del titolo, l’NBA si è fermata. L’NBA ha ripreso, ma non come prima: grazie all’ormai famosa bolla di Orlando la stagione è ripresa, con problemi di natura non sportiva.

Il 25 maggio la morte di George Floyd, afroamericano di 46 anni, vittima di un agente bianco che gli aveva piantato un ginocchio sul collo per svariati minuti, durante l’arresto, mentre la vittima lo pregava di lasciarlo respirare, era stato un pugno nello stomaco per tutta l’America.

Il video che ne aveva documentato la violenza aveva scatenato una scia di proteste non solo nel Minnesota, ma in tutti gli States in piena pandemia. Manifestazioni oceaniche si erano susseguite col movimento Black Lives Matter che veicolava la rivendicazioni di giustizia sociale, contro il razzismo e contro gli abusi della polizia americana specie nei confronti della comunità afroamericana.

L’NBA è ripartita da Orlando dando ampio spazio ai messaggi sociali. I giocatori indossano maglie con su scritto Black Lives Matter.

Al termine della prima partita dei Lakers nella bolla di Orlando Lebron è divenuto il portavoce del Black Lives Matter: Molte persone pensano che il Black Lives Matter sia un semplice movimento di protesta. No, non è soltanto quello. Essere nero non vuol dire appartenere a un movimento. È uno stile di vita. Possiamo sederci e fare un’analisi definendolo come un moto di protesta, ok. Ma a quel punto dovremmo chiederci: “quando finirà?”, oppure dire “Non fermate il movimento”. No, è una marcia per la vita, molto di più. A me non piace la parola “movimento” perché sfortunatamente in questo Paese e nella nostra società, non c’è nessuno che pensa ai nostri interessi. Non c’è mai stato.

E ancora: fino al 2016, Barack Obama era il nostro presidente. Il nostro rappresentante. Ora tutti sappiamo bene cosa sta accadendo alla Casa Bianca. Volete farmi credere che ci sono stati dei progressi? Penso di poter affermare con estrema certezza e a nome di tutti che negli ultimi anni non siamo andati avanti in alcun modo, anzi.

Il 27 agosto l’NBA si è fermata di nuovo. La decisione dei Milwaukee Bucks di non giocare gara-5 del primo turno dei playoff NBA contro gli Orlando Magic è stato un atto politico gigantesco. Dopo il ferimento di Jacob Blake da parte della polizia e l’omicidio di due uomini che protestavano per l’ennesima azione violenta di un agente nei confronti di un afroamericano, rifiutarsi di scendere in campo è una precisa scelta di campo, sposata dalle altre squadre e rivendicata anche da LeBron James.

Qualche giorno dopo hanno fatto il giro del mondo le immagini di LeBron che omaggia Chadwick Boseman l’attore di Black Panther scomparso a causa di un tumore con cui aveva combattuto per oltre quattro anni. L’ennesimo lutto che ha colpito il mondo NBA in questo sciagurato 2020, come sottolineato dallo stesso LeBron a fine partita: nel giro di pochi mesi abbiamo perso il Black Mamba e il nostro Black Panther: possiamo dire che il 2020 è la peggior annata di sempre.

Il #23 dei Lakers si è unito ai suoi compagni durante l’inno statunitense, inginocchiandosi così come ormai accade prima di ogni match da un mese a questa parte, incrociando però le braccia sul petto in onore di Boseman, la Black Panther.

Nelle ultime settimane James ha fatto parlare il campo: prestazioni come sempre da urlo, per un atleta che, all’età di 35 viaggia con una media pazzesca di 27 punti a partita.

I Los Angeles Lakers hanno battuto gli Houston Rockets 4-1 e i Denver Nuggets 4-1. Sono arrivati in finale contro i giovani e sorprendenti Miami Heat, ex squadra di LeBron James. E hanno vinto 4-2.
LeBron ha vinto il premio come MVP delle Finals diventando il primo giocatore a conquistarlo con tre franchigie differenti.

È il 17° titolo della loro storia, hanno raggiunto i Boston Celtics, storici rivali. L’ultimo titolo vinto dai Lakers risale a ben dieci anni fa, quando il catalizzatore del gioco era un certo Kobe Bryant.

Dieci anni fa LeBron era forse considerato lo sportivo più antipatico di sempre: era entrato nel mondo NBA come nuovo Michael Jordan, indossando come l’ex stella dei Bulls il numero 23. La stampa lo pompava esageratamente, salvo poi cambiare idea quando, nel 2010 era ancora a zero titoli. Proprio nel 2010 avviene la svolta: in una storica diretta televisiva LeBron annuncia il passaggio dai Cleveland Cavaliers – la squadra che lo aveva lanciato – ai Miami Heat di Dwyane Wade e Chris Bosh.

A Cleveland la presero malissimo: i tifosi presero fuoco alla maglietta #23 dell’ex stella dei Cavaliers. Dopo aver vinto due titoli nel 2014 LeBron torna a casa, si riprende i Cavaliers e li trascina, nel 2016, al primo titolo NBA. Nel 2018 il passaggio ai Lakers, un squadra che navigava in pessime acque dopo il ritiro di Kobe Bryant.

Oggi LeBron James è un uomo maturo. E probabilmente lo sportivo più influente di sempre. Ha vinto 4 titoli NBA e svariati premi MVP. E’ attivo nel campo della politica, dei diritti sociali. E’ un vincente, catalizzatore nel mondo NBA. Farà parlare ancora a lungo di sé, anche fuori dal parquet, siete pronti?

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