Il 19 marzo 1990 usciva in tutto il mondo Violator, settimo disco dei Depeche Mode che cambia la storia dei quattro inglesi. L’abbiamo riascoltato.
Quando, nel 1990 esce Violator i Depeche Mode sono già una band culto. Sono nel giro da dieci anni e sono passati da un synth pop scanzonato – Speak & Spell, A Broken Frame – a una musica più matura grazie soprattutto a Black Celebration del 1986 che cambia per sempre il loro modo di intendere la musica.
Nel 1987 era uscito Music For The Masses disco che – sin dal titolo – faceva presagire un unione tra il synth pop e la melodia con risultati stupefacenti. Se non ci credete ascoltate il live a Pasadena nel 1988.
Violator viene registrato tra due studi. Uno nel nulla della Danimarca e l’altro a Milano, la città più cool alla fine degli anni ottanta.
Il risultato è un disco synth pop maturo e oscuro dove i Nostri cambiano qualcosa. Il riff di Personal Jesus – primo singolo del disco – è un blues sporco e cattivo che mai si era ascoltato in un disco dei Depeche Mode.
Il riff di chitarra di Enjoy The Silence – altro connubio perfetto tra melodia e suono – è una roba meditativa, mai ascoltata prima. Questi due pezzi faranno la fortuna del disco. Ma non ci sono solo loro.
Il disco si apre con World In My Eyes. Brano synth suggestivo e accattivante che cattura l’attenzione dell’ascoltatore. Segue Sweetest Perfection cantata da Martin Gore, pezzo molto oscuro che fa da contraltare al primo brano e che si fa notare per il suo crescendo.
Il capolavoro del disco è Halo. La quarta traccia è un brano costruito sui sintetizzatori ma l’uso della melodia, l’atmosfera che crea grazie al crescendo finale è qualcosa che i Depeche Mode avevano sempre cercato e che riescono a trovare. La dualità delle voci di Gore e Gahan è un’altra chiave di lettura del disco.
Violator è un disco pop certamente, ma ascoltando i brani ci si rende conto di come la melodia venga utilizzato in maniera creativa, creando orizzonti sonori profondi.
Non è un disco usa e getta, ma un lavoro che va ascoltato e riascoltato per essere compreso nella sua interezza.
A completare il lavoro di Violator ci sono le immagini di Anton Corbijn. Il loro fotografo regista che crea l’iconica foto floreale sulla copertina del disco e i video dei singoli. Grazie al lavoro di squadra con Corbijn, la carica sensuale e l’introspezione più oscura dei Depeche Mode diventano video virali su MTV.
L’oscurità è la chiave per comprendere Violator. Waiting For The Night non sarebbe sfigurata in Black Celebration ma in questo LP diventa qualcosa di ancora più introspettiva con la voce di Dave Gahan ad aspettare la notte e il coro di Martin Gore a metà tra l’angelico e il demoniaco. Un brano introspettivo dove affogare.
Blue Dress è cantata da Martin Gore e assieme a Policy Of Truth rappresenta il lato più melodico e pop. Brani indubbiamente meno ipnotici, ma dall’enorme carica melodica.
Chiude il disco Clean. Il riff ci porta direttamente al 1971, citando One Of These Days dei Pink Floyd. La voce di Gahan è al suo apice, un brano che chiude il disco e lo fa in maniera magistrale, lasciando nell’ascoltatore la voglia di ripartire da capo.
Violator è il matrimonio tra synth pop e arena rock, i Depeche Mode nel 1990 sono il gruppo perfetto per celebrarlo. La band giusta al momento giusto. Il successo planetario del disco si deve indubbiamente al lavoro dei quattro, ma anche ad Anton Corbijn che crea l’immagine perfetta per la band.
Il disco è un capolavoro di produzione grazie a Flood coadiuvato da Alan Wilder, direttore d’orchestra dei quattro.