Hammamet, gli ultimi giorni del leader socialista in Tunisia. La nostra recensione della pellicola di Gianni Amelio

Un film difficile da realizzare.
Talmente politico da risultare depoliticizzato.
E con una particolare visione del recente passato da (quasi) rendersi non del tutto completo.
Hammamet, pellicola sugli ultimi giorni di Bettino Craxi di Gianni Amelio, è in tutto e per tutto un’opera sopra le righe.
La decisione di realizzare qualcosa su un personaggio come l’ex segreterio del PSI ed ex Presidente del Consiglio non è per nulla facile.
E Amelio ha in tutto e per tutto deciso di prendere una strada che non solo si allontana dalle vicende così come le conosciamo ma che tende a descrivere esclusivamente la discesa negli inferi del leader socialista.
Hammamet, infatti, non racconta del periodo antecedente la fuga in Tunisia ma solamente gli ultimi giorni di Craxi prima della morte.
Con un lavoro strutturato in questo modo ad affiorare è tanto la forza quanto la debolezza del prodotto stesso.
Tra i punti di forza del film c’è, senza dubbio, la straordinaria interpretazione di Francesco Favino.
Grazie ad uno spettacolare trucco, l’attore romano riesce totalmente a riprodurre il protagonista anche nei piccoli gesti.
La sua interpretazione è talmente di un’altra categoria da far facilmente unire l’attore e il protagonista, da renderli praticamente una sola persona.
Proprio Favino rappresenta allo stesso tempo un punto debole.
Hammamet, proprio per l’impostazione voluta dal regista, risulta un prodotto eccessivamente favinocentrico.
L’attore è il protagonista assoluto della scena e solamente grazie a lui molte sequenze risultano apprezzabili pur essendo difficili da far digerire sul grande schermo.
A seguire questo punto una scelta specifica dello sceneggiatore di origini calabresi.
L’aver descritto una figura politica come Craxi che ostenta il potere e che crede ancora di ribaltare la situazione è qualcosa di straordinario.

Amelio, in pratica, descrive il definitivo re nudo.
Quello che non rinuncia al controllo – anche della famiglia – e che tende ad apparire debole ma ancora in grado di riacciuffare la situazione.
Il dato, però, porta ad un’ulteriore pecca di Hammamet.
Così facendo – e quindi non concedendo allo spettatore il percorso precedente – si è imposto un ritmo altalenante che ha reso il film spesso, e volentieri, lento.
Il dato, che incide visibilmente sul lavoro, non solo dilata i tempi del corso della pellicola ma porta ad esasperare la trama.
A tutto ciò, inoltre, si aggiunge la (saggia?) scelta dell’anonimato perenne.
Per descrivere al meglio la situazione l’autore non nomina mai i nomi dei protagonisti, facendo interpretare il tutto come esplicativo dell’intero periodo descritto.
Questa descione, tuttavia, condiziona non di pocolo schema generale.
Da un lato non si caratterizzano completamente i personaggi (Craxi compreso) e dall’altro si lascia fin troppo spazio alla libera interpretazione.
Fra le note positive, in ogni caso, si ritrova una magnifica fotografia e una colonna sonora fin troppo geniale.
Luan Amelio Ujkaj e Nicola Piovani – che gioca, con suoni gravi che evidenziano la caduta, sull’internazionale – infatti fanno emergere quanto di positivo fatto dal regista.
In sintesi, Hammamet è un film più che particolare.
Un film che genera sentimenti contrastanti.
E che per la sua impostazione sui generis diviene talmente politico da risultare definitivamente depoliticizzato.