The Irishman è un lungo viaggio nel cinema del regista italo-americano con a bordo Robert De Niro, Al Pacino e Joe Pesci. La nostra recensione
Frank Sheeran sta andando a Detroit assieme al suo amico Russell Bufalino. I due devono andare a un matrimonio e la strada da affrontare non è poca. Inoltre ci sono le mogli dei due che vogliono fermarsi a fumare e che allungano considerevolmente il viaggio. E’ il momento per Frank di ragionare sul suo passato, su quello che è avvenuto nella sua vita, su come è diventato un sicario della mafia. The Irishman inizia così.
Frank ha imparato a uccidere a sangue freddo durante il secondo conflitto mondiale, sparando a prigionieri di guerra tedeschi ai quali, prima, faceva scavare la fossa. Finita la guerra trova lavoro come camionista. Impara rapidamente ad arrotondare la paga sottraendo parte della merce. Ma ben presto il suo mestiere diventa quello di dipingere case cioè di colorarle col sangue che schizza dalle sue vittime.
Frank diventa un killer del boss mafioso Russell Bufalino.
The Irishman parte con un presupposto non da poco. E’ un ragionamento sull’età passata, sulla violenza in America, sui grandi misteri e sui sindacati. I paragoni con altre pietre miliari del regista statunitense si sono sprecati, basti guardare i nomi del cast per pensare subito a film come Goodfellas o Casinò.
Ma The Irishman vive di vita propria. Non ha bisogno di citazioni o link ad altri film: è una storia talmente solida e coinvolgente da non aver bisogno di scomodi paragoni. E’ un percorso nell’America degli anni sessanta tra sindacati e presidenti uccisi. E’ una lunga – dura ben tre ore e mezza, ma volano – riflessione sul mondo criminale, sulla corruzione, sulla frode. Ma anche sul notevole impatto che la malavita ha nella politica.
Diventato vecchio, Sheeran riflette sugli eventi che hanno definito la carriera di sicario, in particolare il ruolo che ha avuto nella scomparsa del leader sindacale Jimmy Hoffa, suo amico di vecchia data. Quella di Jimmy Hoffa è una delle storie americane più complesse. Frank, dopo essere entrato nel clan della famiglia Bufalino, guidata da Russell – un magnetico Joe Pesci – viene ingaggiato per stare vicino a Jimmy Hoffa. La complicità con la mafia porta Hoffa ad una condanna per corruzione per la quale viene arrestato e finisce in carcere per cinque anni.
La comparsa di Hoffa – uno strepitoso Al Pacino – nel film stravolge completamente la trama. Si entra nel cuore del lungometraggio, tra corruzione, soldi intascati, la fallita spedizione alla Baia dei porci per riprendersi Cuba, ovviamente l’omicidio di John Kennedy e il Watergate.
L’elezione di John Kennedy mette a dura prova la stabilità di Hoffa che viene pressato per i suoi guai giudiziari, in particolar modo dal fratello di John Kennedy, Bob.
The Irishman racconta del rapporto tra mafia e sindacato.
Il nuovo film di Scorsese uscito al cinema qualche settimana fa e successivamente su Netflix, gioca sull’aspetto riflessivo e non sull’epica della mafia. E’ un film maturo e adulto come i suoi protagonisti. Non c’è la mitizzazione del mondo mafioso, ma solo un modo di vivere sopra le righe con la consapevolezza che presto o tardi tutto finirà. Da questo punto di vista è un dei film più amari di Martin Scorsese.
La regia solida viene potenziata dalla fotografia di Rodrigo Prieto e dal montaggio della storica collaboratrice Thelma Schoonmaker. Il cast del film è esplosivo: ci sono Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Anna Paquin e Stephen Graham.
In The Irishman la morte è essa stessa protagonista. Non c’è romanticismo, non c’è assoluzione o analisi psicologica che tenga: The Irishman vive in attesa della fine, dei titoli di coda. Racconta dell’amicizia, dei tradimenti, della possibilità o meno del perdono, del tempo e del rapporto con la fine.
Da questo punto di vista potrebbe essere davvero l’ultimo film di Scorsese, un film che chiude un’epoca e un modo ahinoi di fare Cinema.