Dopo tredici anni di attesa è uscito il quinto disco dei TOOL, Fear Inoculum. Il nostro ascolto di uno dei dischi più attesi degli ultimi dieci anni
Uno dei passatempi più noti in questi anni è stato prendere per il culo i TOOL per il loro nuovo disco. I quattro hanno fatto di tutto per farsi perculare da mezzo mondo, promettendo almeno dal 2008 un LP che ci ha messo complessivamente tredici anni per arrivare, per una valanga di motivi. Quando nel 2006 uscì 10,000 Days le reazioni furono molto positive. I TOOL avevano realizzato un lavoro interessante che allargava lo specchio sonoro dei quattro pur non potendo competere con quel capolavoro che risponde al nome di Lateralus.
Una delle frasi – col senno di poi – più famose all’epoca la disse Adam Jones, chitarrista e fondatore della band: non vogliamo aspettare di nuovo cinque anni per avere un nuovo disco.
Quando usciva il quarto capitolo dei TOOL l’Italia calcistica stava per affogare nella crisi di Calciopoli salvo poi risorgere attraverso il mondiale tedesco. L’Italia politica era nelle mani fragilissime del governo Prodi. YouTube iniziava a muovere i primi passi, creando un nuovo modo di vedere i video su internet.
George W. Bush era ancora presidente degli Stati Uniti.
In quel periodo di maggio, la critica musicale era concentrata sul nuovo disco dei Pearl Jam, su quello dei Red Hot Chili Peppers. Una buona fetta di pubblico alternativo aspettava il seguito di Lateralus.
Da quel 2006 è cambiato tutto. E’ cambiata la società, il modo di vedere le cose. Sono cambiati anche Adam, Maynard, Danny e Justin. Logico aspettarsi che il nuovo Fear Inoculum suoni come un passo in avanti, pur restando fedele ai temi – e tempi – forti che hanno fatto grandi i TOOL nelle decadi passate.
Fear Inoculum è un disco che, per forza di cose, è nato nella mente degli ascoltatori tantissimi anni fa. Ognuno ha provato a immaginarselo in base alle dichiarazioni – ehm… alle cazzate – dei quattro e a un’aspettativa che, per forza di cose, si è fatta abnorme. Ingestibile.
I TOOL hanno fatto le cose con calma, dando in anteprima ai fan due pezzi durante il tour che li ha riportati in Europa, ovvero Invincible e Descending. I primi di agosto è uscito Fear Inoculum che presenta i TOOL come li abbiamo lasciati: psichedelici, furiosi. Un brano che cita i migliori TOOL – Reflection, Vicarious – una piccola odissea musicale di dieci minuti che non ha lasciato indifferenti i fan. Basti pensare che ad oggi, un mese dopo l’uscita su YouTube, il brano ha quasi dieci milioni di visualizzazioni: non era mai successo che un brano di ben dieci minuti – solo audio, senza video – avesse questi numeri, specie per una band alternativa.
Fear Inoculum si presenta come un disco ostico: dieci pezzi – sei brani, uno strumentale e tre interludi – per un totale di ottanta e passa minuti di musica. Le dichiarazioni – questa volta attendibili – di Danny Carey facevano presagire brani molto lunghi e ostici. I due pezzi ascoltati in anteprima – Invincible e Descending – sono esattamente di questa pasta coi quattro musicisti che riescono a ritagliarsi il proprio spazio.
Invincible vede il gran lavoro di Justin Chancellor con Danny Carey che si limita a pestare come non mai e Adam Jones che disegna un muro sonoro torrenziale grazie al suo modo così originale di suonare la chitarra. La ricetta dei TOOL resta invariata: cambi di tempo, calma che diventa violenza. Percussioni indiavolate, riff potenti, un basso liquido.
Descending ha un riff molto tooliano ed è uno dei brani che già negli scorsi tour veniva presentato, seppur in forma strumentale.
Descending rappresenta il nuovo corso dei TOOL; è il manifesto di quattro uomini che, giunti alla maturità, non vogliono deporre le armi. La chitarra di Adam Jones prende il comando del brano – come accade anche nella conclusiva 7empest – con assoli molti heavy che stravolgono la forma già difficile dei brani.
7empest è uno dei brani più tesi ed emozionanti del disco. La canzone è l’apice emotivo di questo nuovo trip, il più pesante, ma anche il più affascinante passaggio del nuovo lavoro dei quattro, con un Keenan rispolverato e mai così aggressivo. Si è parlato molto di questo brano, vuoi per la difficoltà di esecuzione, per l’assolo stratosferico di Adam Jones e per il minutaggio tutt’altro che accessibile.
Culling Voices parte con un’inedita soluzione voce e chitarra. Non avevamo mai sentito i quattro iniziare un brano in questo modo. Una doppia chitarra che suona all’infinito fa da culla alla voce ispiratissima di Keenan. Il resto lo compiono i ritmi indiavolati di Danny Carey e Justin Chancellor.
Pneuma – la nuova Schism? – parte con un ritmo blando, sulla falsariga di Fear Inoculum. E con quel basso che sembra rimasto intrappolato tra i solchi di un disco del 2001 chiamato Lateralus. Adam Jones compie un lavoro sopraffino rendendo preponderante il suo strumento. Da notare anche la presenza di synth utilizzati da Danny Carey.
Un altro elemento che colpisce è il cambio di impostazione vocale di Maynard James Keenan. Non potendo più arrivare a toccare le vette di dieci anni fa, il frontman canta in maniera più soft. Quasi angelica, ricordando il lavoro solista coi Puscifer.
Maynard gioca con gli effetti della voce, basti ascoltare Fear Inoculum o Descending e gli effetti usati. Da lode la performance in Culling Voices e in 7empest, due dei brani più convincenti del lotto.
Il quinto LP dei TOOL è un bel passo in avanti. Danny Carey riempie col suo strumento ogni buco lasciato libero da Adam Jones. Il batterista ha scritto Chocolate Chip Trip, un brano strumentale tutto batteria e synth. Un piccolo gioiellino utile a spezzare la tensione emotiva di un disco molto ostico.
Fear Inoculum contiene dei link. Dei link ad altri brani dei TOOL. Ma non sono gli unici collegamenti. Sfogliando il booklet – un’opera di ben trentasei pagine curate dal fidato Alex Grey – si trovano riferimenti anche ai dischi precedenti.
La confezione del cd – curata da Adam Jones – vede uno schermo da quattro pollici in HD sul quale son stati collocati sette minuti di contenuti video. Un cavo USB per ricaricare lo schermo, due watt speakers.
Ma torniamo alla musica. Durante i primi ascolti i fan troveranno riferimenti ad ogni brano possibile e immaginabile della non sterminata discografia dei quattro. Il che non è un difetto: i TOOL hanno praticamente inventato un genere musicale che unisce elementi differenti tra loro ma che viene comunque elevato. Lunghe cavalcate di dieci e passa minuti – i tre musicisti hanno fatto passi da gigante nel migliorarsi col proprio strumento e si sente – un approccio totalmente estraneo alla forma canzone.
Un cantato più melodico – ma non per questo accessibile – e una richiesta di attenzione che nessuna band può vantare al momento: non si può ascoltare un disco dei TOOL senza restare indifferenti. Viene richiesta concentrazione per i dettagli sonori. Continui e ripetuti ascolti.
Fear Inoculum è una provocatozione per i nostri tempi. In un’epoca in cui la musica è usa e getta un disco – e ripetiamo, un disco: cioè un supporto fisico con tanto di copertina e pagine da sfogliare – come quello dei TOOL è un pugno allo stomaco.
Ci troviamo davanti a un lavoro che verrà digerito in tempi lunghissimi, vuoi per la mole di materiale proposto, vuoi perché stiamo parlando dei TOOL e di un’attesa che è valsa la pena vivere.