La quinta stagione di Black Mirror ci regala tre puntate come nelle prime stagioni. La nostra recensione dei nuovi episodi di Charlie Brooker
Dopo il controverso Bandersnatch uscito a fine anno, Black Mirror è tornato alle origini, presentando tre episodi nuovi di zecca, come già fatto durante le prime due stagioni.
I temi che hanno reso celebre Black Mirror in tutto il mondo sono la distopia e il rapporto tra l’Uomo e la tecnologia. L’Uomo è quasi sempre da solo, isolato dagli altri. Impotente.
Queste tematiche vengono presentate in una chiave nuova, più pop se vogliamo come nel caso di Rachel, Jack And Ashley, Too racconto non troppo velato della pop star Ashley (la brava Miley Cyrus) che è legata a un rapporto complesso con la zia manager. La presentazione di Ashley Too – a tutti gli effetti una bambola con la personalità di Ashley – cambierà la vita a una sua fan. Ma non solo. Il terzo episodio è una critica al mondo della musica, sempre più plasticoso e artificiale, dove la libertà umana e artistica viene messa da parte in favore del Dio Denaro.
Già, God Money I’ll do anything for you. L’episodio viene arricchito di due brani dei Nine Inch Nails riletti prima in chiave pop, poi sul finale dell’episodio in una più consona chiave rock.
Il primo episodio, Striking Vipers è la storia dell’amicizia tra Danny (Anthony Mackie) e Karl (Yahya Abdul-Mateen II). La loro amicizia diverrà qualcosa di più profondo quando quest’ultimo regala al suo amico il nuovo Striking Vipers X celebre picchiaduro (una sorta di Street Fighter per gli amanti dei giochini vintage). Il gioco, in VR, metterà a dura prova il matrimonio di Danny, il rapporto con la moglie, con il figlio e più in generale con una maturità che si richiede a un padre di famiglia.
Il finale, forse un po’ troppo frettoloso, mette ancora una volta in cattiva luce il rapporto dell’Uomo con la tecnologia. In questa puntata viene approfondita la natura dell’Uomo, quella sopita e silenziosa, uccisa e repressa dalla società.
Con Smithereens la serie torna alle origini, in senso più letterale che filosofico. Smithereens, infatti, ha lo stesso passo e stile dell’esordio, quando il primo ministro inglese venne costretto ad un rapporto extra coniugale con una scrofa. Non è lanciato nel futuro, non mostra una distopia possibile, ma sviluppa, su diversi livelli, una realtà in cui già viviamo, un futuro che ha smesso di esserlo da una decina d’anni e ora ha la terrificante faccia del presente.
L’episodio racconta una banale storia di ostaggi, rapitori e polizia. Il malcapitato è uno stagista di Smithereens, alias Facebook, che viene rapito da un tassista che ha una semplice richiesta: parlare con il fondatore del sociale più famoso del mondo.
A favore di questo episodio, nettamente il migliore del lotto, c’è un bravissimo Andrew Scott – lo avevamo visto in Sherlock nei panni di Jim Moriarty – che col suo sguardo perso rappresenta chi ha perso tutto ed è disperatamente solo. Talmente solo da rapire uno stagista di Smithereens con lo scopo di parlare con il capo del social più famoso del pianeta. Un’ora di tensione, di critica alla tecnologia, dove la polizia sembra sempre un passo indietro rispetto agli uomini di Smithereens che, grazie all’uso della tecnologia, riescono a capire di più sul rapimento del loro giovane stagista.
Come sono dunque questi tre nuovi episodi di Black Mirror? Sufficenti, se si pensa a Striking Vipers e Rachel, Jack And Ashley, Too che hanno la colpa di essere troppo lunghi e dispersivi (specie il secondo) anche se le idee, come sempre in Black Mirror, sono decisamente interessanti.
Discorso a parte per Smithereens che, grazie a trama e atmosfera, è un bel passo in avanti, ricordando le prime stagioni della serie di Charlie Brooker.
Diventa difficile, con il passare delle stagioni e degli anni, trovare nuovi stimoli per la serie tv di Charlie Brooker. La sensazione è che le migliori puntate siano uscite anni fa. Tuttavia Black Mirror merita sempre e comunque almeno una possibilità, anche per il solo valore filosofico dell’opera.