Negli scorsi mesi è uscito Bohemian Rhapsody, film che racconta la storia dei Queen e quella più personale di Freddie Mercury. La nostra recensione
E’ piaciuto, sta piacendo e piacerà ancora Bohemian Rhapsody, il film uscito in Italia lo scorso 29 novembre che si propone di raccontare la magia dei Queen. I numeri parlano chiaro: ottocento milioni di dollari di incasso in tutto il mondo per un film che ha avuto una gestazione lunga e travagliata. Si parla di questo film da almeno dieci anni quando Brian May – chitarrista e fondatore della band – decise di mettere su pellicola le gesta della sua band.
Nel 2010 Brian May annuncia che era in progetto un lungometraggio sui Queen e su Freddie Mercury, con la sceneggiatura curata da Peter Morgan. Nei panni di Freddie Mercury ci sarebbe stato Sacha Baron Cohen. Nel luglio 2013 l’attore afferma di aver rinunciato alla parte a causa di divergenze artistiche tra lui e i membri della band. Nello stesso anno viene annunciato che Ben Whishaw avrebbe preso il posto di Cohen e che la regia sarebbe stata affidata a Dexter Fletcher, il quale tuttavia si defilò dal progetto nel marzo dell’anno successivo.
Alla fine del 2015 la casa di produzione GK Films assume lo sceneggiatore neozelandese Anthony McCarten per stendere una nuova sceneggiatura. L’anno dopo viene annunciato che la New Regency e la GK Films saranno nella produzione della pellicola, le cui riprese sarebbero iniziate nei primi mesi del 2017, con Rami Malek nei panni di Freddie Mercury e Bryan Singer alla regia.
E’ un film diviso a metà Bohemian Rhapsody. Da un lato racconta la storia dei Queen, dall’altro quella del suo frontman. E qui esce subito il primo difetto della pellicola che si propone in due ore di raccontare non solo due decadi musicali intensissime – agli anni settanta, il glam rock, i nuovi generi musicali, gli edonistici anni ottanta, le colonne sonore, la svolta disco, quella più pop, i concerti negli stadi e altro ancora – ma anche di raccontare i cambiamenti in Freddie Mercury, altra cosa per nulla facile.
Non è ben chiaro se il film è la storia dei Queen – e in questo caso c’è più di una svista e mancanze dal punto di vista squisitamente musicale – o quella di Freddie Mercury. In entrambi i casi ci sono dei vuoti, dei raffazzonamenti. Delle scelte troppo semplicistiche da approfondire. Sarebbe stato forse meglio, ad esempio, raccontare solo una parte della carriera dei Queen e magari nel farlo tracciare un bilancio della band. Sarebbe stato ancora meglio dare vita (perché no?) a una serie di film, magari due, per meglio raccontare le trasformazioni, le tensioni, le mutazioni delle Regine.
Da un punto di vista di sceneggiatura la pellicola non brilla. Stessa cosa per la fotografia, troppo pulita e fighetta. Molto più interessante sarebbe stato usare una fotografia più sporca e più vicina all’estetica anni settanta o ottanta. Discorso diverso meritano sia la colonna sonora – ovvio, scontato, banale – sia la recitazione.
Rami Malek è semplicemente divino. L’attore reso famoso dalla serie Mr. Robot riesce a calarsi perfettamente nei panni non facili di un’icona musicale. E ne esce vincente. La sua è una trasformazione mimica, fisica, vocale. Strepitoso. Anche il resto del cast non sfigura: Gwilym Lee è Brian May, Ben Hardy è Roger Taylor mentre Joseph Mazzello è John Deacon.
La sensazione da parte di chi scrive – e che non è un fan dei Queen – è quella di un film fatto su misura per i fan. Un film che non spinge un ascoltatore medio ad avvicinarsi al mondo dei Queen. Questa è la vera pecca della pellicola. Una pellicola che comunque merita un’attenta visione e che ai prossimi Oscar correrà per ben cinque statuette: quella per miglior film, miglior attore protagonista, miglior montaggio, miglior sonoro e miglior montaggio sonoro.