Il RoboCop di Frank Miller è stato un cocente flop cinematografico ma anche un fumetto noir, violento e disturbante. Lo raccontiamo su Diario di Rorschach
Una delle prime scottanti delusioni per Frank Miller non arriva dal mondo del fumetto, bensì da quello del cinema. Nel 1989 Miller viene contattato per scrivere la sceneggiatura del sequel di RoboCop (1987) fortunato film di Paul Verhoeven che racconta la storia del poliziotto Alex Murphy, trucidato dalla malavita ma che continua a vivere grazie alla tecnologia. La mente e alcune parti del corpo di Murphy vengono utilizzate per creare RoboCop, un poliziotto robot con una coscienza umana.
Il film è un successo clamoroso e la Orion Pictures decide di creare un sequel affidandosi a Miller. Le atmosfere malate, il mood noir del film, la violenza, tutto riconduceva all’opera di Frank Miller, all’epoca celebrato per i suoi Batman e Daredevil. La storia di RoboCop è anche quella di una rinascita, tema caro al fumettista americano.
Miller prende al volo l’occasione per raccontare una Detroit ancora più distrutta e sanguinante, dove la violenza domina in ogni quartiere – ricordando in parte il lavoro svolto in Hard Boiled – e dove la televisione mostra una realtà distorta e alienata – vi ricordate The Dark Knight Returns? – che contagia la gente come se fosse una malattia.
La sceneggiatura, scritta da Miller, viene divisa in due film e violentemente rimaneggiata. La delusione è fortissima e Miller lascia il mondo del cinema subito dopo esserci entrato. Vi ritornerà solo nel 2005. Le idee per quelli che sono poi diventati RoboCop 2 e RoboCop 3 – che tra l’altro si rivelano due flop cocenti, specialmente il terzo capitolo – sono state recuperate e riadattate in fumetto per i testi di Steven Grant e i disegni di Juan Jose Ryp, ovviamente con il beneplacito di Miller, che ha anche disegnato le copertine. La trama, in effetti, sembra un mix tra quella del secondo e del terzo film di Robocop, ma le differenze sono molte.
I fumetti curati da Frank Miller per RoboCop sono tre: RoboCop #1-9, Last Stand #1-8 e RoboCop Versus Terminator #1-4.
Non ci sono innocenti nel senso puro del termine. Anche i bambini sono per lo più dei delinquenti e i cittadini ingrati sono pronti a dimenticare in un attimo chi li ha aiutati per dedicare la loro attenzione al nuovo programma televisivo, davanti al quale sedersi imbambolati mentre il mondo intorno a loro cade a pezzi. Un’orribile distopia uscita di forza dagli anni ottanta americani, con il senso di paranoia e disagio sociale che si portano dietro.
A tutto questo aggiungiamo una sceneggiatura a tratti confusionaria e molto malata, con cambi di scena ed evoluzioni rapidissime. Leggendo le tre storie di RoboCop si ha la netta consapevolezza che queste storie siano state scritte e pensate da Frank Miller per il cinema e si dimstrino poco adatte al formato cartaceo.
Pur avendo una trama tutto sommato abbastanza semplice, capita di rileggere due o tre volte alcune pagine prima di capirne abbastanza per poter andare avanti.
RoboCop di Frank Miller non ha rivoluzionato né il cinema, né il fumetto. Resta un insieme di storie forti, malate. Adatte ai fan duri e pure dello scrittore di Olney.