Paradise PD, la nuova creatura degli autori di Brickleberry. La nostra recensione sulla prima stagione della serie animata dedicata al dipartimento di polizia di Paradise

Una formula vincente e pienamente rodata proiettata in un nuovo appassionante progetto.
Paradise PD, nuova creazione degli ideatori di Brickleberry Waco O’Guin e Roger Black, si presenta nel migliore dei modi al grande pubblico.
ideato sulla falsa riga della serie dedicata ai rangers del parco – che vengono perfettamente modellati al contesto presentato – Paradise PD raccoglie ed amplia quel politicamente scorretto che ha fatto le fortune dei due autori statunitensi.
Pubblicato sulla piattaforma Netflix, il prodotto animato narra le disavventure del disastrato distretto di polizia di Paradise (piccola cittadina USA) in cui la lotta al narcotraffico di un nuovo tipo di metanfetamina diventa la priorità della sicurezza locale guidata dal violento e razzista (e, per un incidente, castrato) Capo Randall Crawford, ex marito del sindaco Karen Crawford.
L’atipico corpo di polizia ,composto dagli agenti Kevin Crawford (figlio imbranato di Randall e Karen), Gina Jabowski (violenta ed iraconda poliziotta), Gerald Fitzgerald (poliziotto di colore), Dusty Marlow (obeso ed impacciato agente di polizia), Stanley Hopson (l’anziano del gruppo) ed il cane tossicodipendente Bossolo, si immergerà a modo proprio in questa tipica realtà americana a suon di pesanti battute (soprattutto sulla sessualità) e irriverenti gag basate sulla quotidianità.
Paradise PD si rende un prodotto apprezzabile grazie ad una serie di elementi che non solo portano gli autori ad impostare un vero e proprio marchio di fabbrica – fondato integralmente su uno schema noto – ma anche ad andare oltre il primo prodotto attraverso una continuità mai sperimentata fino ad ora.
Con riferimento al primo dato, è facile notare le analogie con Brickleberry – i personaggi sono tutti trasposti nel nuovo format – che mettono a proprio agio lo spettatore ad un primo impatto e allo stesso tempo fanno il verso proprio a quello stesso schema da cui sono stati creati.
Le sparse antinomie, visibili sin dal contrasto tra il nome del luogo e quello che la città è veramente, consentono agli autori sia di giocare dall’inizio alla fine su continui e generalizzati conflitti che mettere in evidenza le contraddizioni di tutti i giorni.

In questo contesto si inserisce perfettamente quel politicamente scorretto – tanto caro ai due sceneggiatori – impostasto su una comicità cruda e colma di riferimenti all’America degli anni duemila.
L’abuso di potere, il razzismo, l’uso delle armi e la violenza delle forze di polizia, infatti, fanno da cornice ad un più ampio contesto in cui gli USA (ed il mondo intero) si muovono amaramente in questi ultimi anni.
A rafforzare questo quadro è anche il contesto familiare dei Crawford, incentrato su una costante diatriba interna che ruota attorno un bizzarro binomio presentato di volta in volta (padre – figlio o moglie – marito) e su una vita in cui le virtù pubbliche celeano, inevitabilmente, una serie di vizi privati.
A tutto ciò, inoltre, si associa il superamento di quanto fatto fino al 2015.
Al contrario di Brickleberry, Paradise PD tende a realizzare una continuità di base che rispetto agli episodi autoconclusivi sui rangers genera una maggiore serialità e, di conseguenza, una trama più articolata ed appassionante.
Infine non è possibile non citare un ulteriore punto di forza della serie animata dettato dai tempi impostati.
Con una durata media di ventisei minuti ad episodio, Paradise PD si rende un concentrato di comicità spinta e situazioni al limite del no sense che permettono alla creazione di Waco O’Guin e Roger Black di esplodere in un insieme di gradevoli momenti passati in compagnia di questo corpo di polizia sui generis.