La Casa De Papel conosciuta in Italia con il titolo La Casa Di Carta è una serie spagnola che ha fatto molto discutere. Ne parliamo su Diario di Rorschach
Otto persone fanno una rapina. Indossano tute rosse e la maschera di Dalì. Non stanno rapinando una banca qualunque, ma la Real Casa De La Moneda, la Zecca di Stato spagnola. E la stanno rapinando in un giorno particolare. Il giorno della visita di una scolaresca proveniente da Brighton. Tra gli studenti c’è Alison Parker, figlia di un diplomatico e considerata il Cavallo Di Troia per spuntarla contro la Polizia.
La Casa De Papel (La Casa Di Carta) serie tv spagnola distribuita da Netflix è un prodotto seriale molto ambizioso. E’ un serial che coraggiosamente racconta di una rapina in banca. Diciamo coraggiosamente perché di film o serie che raccontano rapine ce ne sono a iosa. Uno in particolare, Inside Man di Spike Lee del 2006 raccontava di una rapina molto particolare con un finale spettacolare.
La Casa De Papel cita – almeno nelle primissime puntate – Reservoir Dogs di Quentin Tarantino (gli otto rapinatori hanno nomi di città e non si conoscono tra loro), Inside Man, Prison Break, Lost.
Proprio di Lost la serie tv condivide una certa atmosfera, un certo mood. In Lost avevamo una serie di personaggi costretti a vivere su un’isola. In La Casa De Papel i protagonisti sono costretti a vivere nella Zecca di Stato per diversi giorni. Con un piano ben preciso, a prova di bomba.
Come fare dunque a mantenere l’hype alto, puntata per puntata?
Indubbiamente grazie ai flashback che raccontano il passato dei protagonisti – Tokyo, Mosca, Berlino, Nairobi, Rio, Denver, Helsinki e Oslo, più Il Professore, la mente del colpo – e grazie ai continui colpi di scena e ribaltamenti di fronte. I personaggi, non solo gli otto rapinatori, vengono analizzati, studiati. Ne conosciamo gesta e pensieri. Intenzioni e aspettative.
Il Professore è indubbiamente uno dei personaggi più emblematici de La Casa De Papel. Anche la negoziatrice, l’ispettrice Raquel Murillo, una donna con problemi di natura personale e professionale che si rovesceranno, tutti, nel tentativo di sventare la rapina.
La Casa De Papel – nonostante alcuni buchi di sceneggiatura e un paio di battute da telenovela sudamericana – è un buon prodotto. Intrattenimento puro. Adrenalinico. Se la prima parte della stagione – nove episodi – è caratterizzata dalla presentazione dei personaggi e da un’incalzante azione, nella seconda parte – sei episodi – ci si immerge maggiormente nei personaggi, nella loro affettività. Ci si concentra sulla strategia da utilizzare nel momento della crisi – quando ad esempio la squadra non riesce a raggiungere telefonicamente il Professore – e proprio per questo la tensione si fa alta – le numerose divisioni all’interno della banda per motivi anche di natura sessuale, strategica, psicologica – e proprio a causa della loro umanità i criminali sono portati a commettere errori. Come la gente comune.

Tokyo, Nairobi, Rio, Berlino, Helsinki, Denver e Mosca vogliono diventare ricchi, aspirano alle banconote ma hanno anche una loro etica. Sono dei Robin Hood che non rubano ai ricchi per dare ai poveri ma stampano denaro – di nessuno – per intascarselo. Hanno dovuto fare ciò anche a causa di una Spagna matrigna che non aiuta i suoi figli ma li costringe a delinquere. Devono lottare, ingannare, impugnare le armi perché altrimenti vivere sarebbe impossibile.
Emblematica, da questo punto di vista, è la scena dell’intervista ai rapinatori. Una troupe televisiva riesce a strappare un’intervista a Berlino, il leader del gruppo, il personaggio più interessante di tutta la serie, assieme al Professore.
Nell’intervista, mandata in onda in tutta la Spagna, Berlino confessa di avere una malattia e di avere pochi mesi di vita. Non solo. Riesce a far risultare simpatici i rapinatori – gente disperata, sola, senza speranza – e antipatici i poliziotti.
Con l’andare delle puntate la rapina assume contorni politici, umani, sociali. Il canto di battaglia del gruppo è Bella Ciao, colonna sonora per resistere, trovare la forza e malinconicamente ballare e cantare. La Casa De Papel dipinge una Spagna lontana dalle fasce deboli, ingenerosa con il popolo, spaventosa e imbruttita, non a caso il commissario Raquel a un certo punto dice di non capire chi sono i buoni e chi i cattivi, chi ha ragione e chi ha torto. I rapinatori diventano eroi di una nazione che non sa per chi schierarsi.
In tutto questo caos il Professore e il suo piano machiavellico sono i veri vincitori del rush finale. A un prezzo alto, però. Alla fine della vicenda tutti – anche i vincitori – realizzano di aver comunque pagato un prezzo. La Casa De Papel è un buon prodotto. Ha una serie di punti forti – la trama, le citazioni, alcuni protagonisti come Berlino o il Professore – e altri decisamente deboli – alcuni dialoghi, Tokyo, una sceneggiatura un po’ forzata – ma nonostante questo merita comunque un’attenta – e siamo certi sarà senz’altro ininterrotta – visione.