L’occhio del male, il romanzo di Stephen King sulla tremenda maledizione gitana. La recensione dell’opera su Diario di Rorschach

A chi non è capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi vittima di un sortilegio?
Questo pensiero, legato per lo più alla tradizione di ogni singolo luogo, viene fatto proprio dal Re dell’horror che nel 1984 (per la prima edizione, con lo pseudonimo di Richard Bachman) realizza una delle storie più inquietanti del suo vasto repertorio: L’occhio del male.
L’opera, che rispetto ad altre della sua gioventù è riuscita ad emergere con minor forza, prende piede dall’arcaico punto di vista sulle popolazioni nomadi e gioca sulla leggenda dei poteri nelle mani di questi individui.
La vicenda narrata ne L’occhio del male parte dall’omicidio di un’anziana zingara compiuto da William Billy Halleck, un obeso avvocato di una piccola città.
Dopo quell’episodio, ed una serie di espedienti per evitare la condanna, Billy viene investito da una maledizione lanciata dal figlio della donna che lo porta a dimagrire senza alcun tipo di controllo fino alla morte.
Il romanzo, in cui emerge lo Stephen King degli anni ottanta, cattura l’attenzione del lettore grazie a due elementi di fondamentale importanza che lo proiettano fra le opere meritevoli dello scrittore di Portland.

In primo luogo, grazie anche ad un crescendo nel ritmo della vicenda, l’autore non solo si discosta dalla classica letteratura horror ma tenta di incidere attraverso un argomento che mescola tradizione popolare e meschinità verso un’etnia da sempre bistrattata.
Infatti, partendo dall’atavico (ed insensato) odio verso gli zingari, King costruisce un raffinato intrigo – in cui spadroneggiano investigazione e magia – da far invidia alla tradizione giallista internazionale.
A questo, inoltre, si associa anche un’accurata visione della società statunitense degli anni ottanta – facilmente accostabile ad una delle tante realtà odierne – ed una forte critica tanto al sistema giudiziario quanto alla giustizia (spesso personale) in sè.
Su questo elemento, in particolar modo, lo scrittore tenta di stimolare sia un dibattito su cosa sia giusto o meno che un’attenta riflessione su quanto una giustizia giusta sia, praticamente, impossibile da raggiungere.