IT (2017), la nuova trasposizione cinematografica del romanzo di Stephen King. Ecco perchè, secondo noi del Diario di Rorschach, la pellicola di Andrés Muschietti rappresenta l’ennesima occasione sprecata

IT, capolavoro letterario di Stephen King datato 1986 (recensione qui), è una delle opere più complesse ed articolate dello scrittore originario di Portland.
Infatti, a causa dei continui flashback, del rapporto sopra le righe fra i perdenti e alla particolarità della creatura, il romanzo è talmente gradevole e scorrevole nella lettura quanto, contemporaneamente, complicato nella trasposizione verso chi non ha mai affrontato il libro.
Queste caratteristiche, tipiche di molti scritti di King, rendono quindi IT uno dei romanzi meno adattabili al cinema e con meno possibilità di coerenza con quanto presente su carta.
Tutto ciò era stato già messo in evidenza con la mini-serie televisiva degli anni novanta – divenuta comunque celebre grazie alla grande interpretazione di Tim Curry e al, seppur minimo, tentativo di accostarsi quanto più possibile alla narrazione originale – e con il film di Andrés Muschietti, presentato nelle sale cinematografiche in questi giorni, le problematiche sono addirittura aumentate.
Da appassionati di King e amanti del cinema, vi spieghiamo perchè secono noi la nuova versione per il grande schermo di Pennywise il pagliaccio poteva, dato il mediocre prodotto, essere tranquillamente evitata.
Di seguito vi proponiamo i tre elementi che hanno reso la storia dei perdenti di Derry l’ennesima occasione sprecata per il cinema.
LA TRAMA

La problematica maggiore, e più evidente, dell’IT di Muschietti è quella della trama proposta.
Oltre ad una storia quasi del tutto differente rispetto a quella del Re dell’horror – cosa che di per sè indispettisce, e di molto, un fan dello scrittore – , la prima impressione che si ha guardando il film è l’eccessiva debolezza dell’arco narrativo presentato.
A questo imperdonabile errore, che riduce l’intera pellicola ad una sorta di americanata dal cuore tenero, se ne aggiunge un altro che, inevitabilmente, fa precipitare il lavoro in un limbo cinematografico impalpabile: i tanti buchi di sceneggiatura.
Questi, strettamente legati alla netta differenza con il romanzo – che con un pò di buona volontà potrebbe essere tranquillamente riproposto in maniera più o meno fedele rileggendo quanto scritto- , da un lato forzano diversi elementi nella storia (ad esempio perchè chiamarlo IT, pronome personale neutro, anzichè lui o lei) e dall’altro escludono quasi del tutto alcuni personaggi dalla storia, Mike e Richie su tutti, riducendo il tutto ad una buonista storia d’amore tra bambini (Bev, Billy e Ben) accompagnata da comparsate di tutti gli altri.
Inoltre, se l’attualizzazione poteva risultare un buon escamotage per rendere contingenti i fatti con il secondo capitolo, lo stesso non si può dire per le furbate inserite per cavalcare la moda del momento.
Mi spiego meglio.
La tendenza a rincorrere il più famoso Stranger Things – Richie interpretato da uno dei tre ragazzi della serie e la presenza sfrenata di easter egg proprio come fatto da Matt e Ross Duffer – non solo ha indebolito ancor di più la trama ma ha anche sviato, più di una volta, lo spettatore rispetto a quanto si cerca di raccontare.
IL GENERE

I problemi presenti nella trama, oltre ad una forte ripercussione sulla narrazione delle vicende, hanno una pesante ricaduta anche sul genere cinematografico proposto.
L‘IT di Muschietti, presentato come un film horror, in realtà si posiziona in una categoria intermedia che di sicuro non investe il genere citato – date le poche e mal rappresentate scene di paura – ma che, allo stesso tempo, non si inserisce bene in nessun altro genere presente.
Anche questa pecca, quindi, ha un effetto negativo sulla pellicola sia dal punto di vista del pubblico – il film è spudoratamente dedicato ai nuovi amanti dell’horror, per intenderci coloro innamorati dei vampiri alla Edward Cullen, e pochissimo agli amanti dei libri di King e dell’horror in genere – che dal punto di vista cinematografico in sè.
PENNYWISE

Il Pennywise di Bill Skarsgård era senza dubbio la figura più attesa dell’intero lungometraggio.
Le tante anticipazioni su giornali e rete e l’immancabile paragone con il suo predecessore (Tim Curry) avevano aumentato le aspettative sulla prima grande trasposizione cinematografica del romanzo (la prima versione era, come detto, una mini-serie TV).
In realtà, però, se da un determinato punto di vista si rimane positivamente impressionati dall’interpretazione dell’attore svedese, horrorifico al punto giusto, da un altro, a causa delle evidenti pecche citate, il clown si riduce a poco più che un mostro senza nessun reale potere per respingere le semplici bastonate dei perdenti, come si scopre alla fine.
Anche in questo caso, come per i precedenti, la netta differenza con lo scritto ha avuto un effetto devastante sul personaggio che, a causa di tagli, revisioni eccessive ed invenzioni del momento, lo hanno reso una banale creatura esposta al potere di una qualsiasi arma contundente.