Mindhunter è una serie prodotta da Netflix con la regia di David Fincher. La nostra recensione su Diario di Rorschach
C’è stato un momento in cui il sogno Americano è andato in frantumi.
Quando in Watchmen chiedono al Comico cosa ne è stato del Sogno Americano, lui risponde sornione: Si è realizzato.
Questo è quello da cui occorre partire per analizzare Mindhunter, una storia sui postumi del Vietnam, Watergate e chi più ne ha più ne metta.
La società muta e di conseguenza anche gli assassinii. Se prima la maggior parte degli omicidi in America – siamo intorno alla metà degli anni Settanta – avveniva per un movente, adesso le cose sono cambiate. Con il cambiamento radicale della società e dei suoi valori cambia la psiche dei suoi abitanti e le perversioni. Le follie si aggiornano.
Nasce la figura del serial killer o di colui che commette omicidi senza apparente motivo. Non c’è più un movente o se volete una logica. Nel caso del killer seriale l’unica logica che conosciamo è quella relativa alle vittime, assai simili tra loro.

Holden Ford, negoziatore per conto dell’FBI – interpretato da Jonathan Groff – si appassiona al tema della mente e di come essa cambi e si adatti ai vari contesti. Assieme allo studioso di Scienze Comportamentali Bill Tench, apre uno progetto che studi e analizzi i comportamenti dei killer più pericolosi, col sogno proibito di intervistare Charles Manson.
Le interviste servono per capire i killer. I loro comportamenti. Le loro ossessioni. Tutto questo per prevenire un giorno l’omicidio.
Da dove deriva tutto quel male? Cosa è andato storto nella formazione della persona? Come un essere umano può essere capace di compiere azioni efferate? E’ possibile intervenire in tempo?
Accanto alla storia ufficiale, alle indagini e alle collaborazioni del team FBI su casi di omicidio, non manca la parte intima dei protagonisti. Interessante come le scoperte sulla mente riescano ad innescare meccanismi anche nella vita privata, quando questioni lavorative dovrebbero essere abbandonate. Il team dell’FBI lavora giorno e notte, specie quando si trova a casa ad affrontare i problemi di tutti i giorni.
Musicalmente, la serie è un vero e proprio viaggio negli anni Settanta. I titoli di coda vengono arricchiti da brani di Talking Heads, David Bowie, Toto, The Alan Parsons Project.
David Fincher – uno dei registi della serie – dirige Mindhunter e nel frattempo pensa ai suoi vecchi film. Troviamo brandelli di Se7en e Zodiac sparsi durante le dieci puntate. Dieci puntate di alto livello psicologico. La violenza viene raccontata, ricordata, narrata. Raramente assistiamo a scene violente, molto spesso invece i protagonisti – i serial killer come Ed Kemper, David Berkowitz, Richad Speck, Jerry Brudos – ce le raccontano con un normalità sorprendente, come se si trattasse di vecchi ricordi di gioventù.
Mindhunter è una serie molto interessante. Lo è per via dei protagonisti – un ottimo Jonathan Groff, un eccellente Holton McCallany, una sorprendente Anna Torv – e per la storia senza ombra di dubbio molto originale. Solo David Fincher poteva dirigere una serie del genere.