Il 14 Ottobre 1977 usciva “Heroes” di David Bowie. Abbiamo recensito lo storico disco del Duca Bianco su Diario di Rorschach
Il David Bowie che si appresta a rientrare in studio di registrazione è molto diverso rispetto a quello di qualche mese prima. Ristabilitosi o quasi completamente, il Duca Bianco è ora più ottimista, più rilassato e concentrato sul futuro di quanto non lo fosse prima delle registrazioni di Low.
Per intenderci, Low era stato un disco sperimentale, strano, innovativo, futuristico. L’intenzione di Tony Visconti – fedele produttore di Bowie – è quello di mantenere questo approccio anche se sono cambiate un paio di cose. La prima è sicuramente la vena più ottimista e meno deprimente del precedente disco. La seconda è Berlino. Se Low-Heroes-Lodger vengono considerati la trilogia berlinese è altrettanto vero che il solo “Heroes” viene registrato nelle capitale tedesca.
Il disco viene registrato presso gli Hansa Tonstudio di Berlino Ovest. Studi celebri per aver ospitato gli U2, i Depeche Mode, Iggy Pop, Nick Cave e i suoi Bad Seeds.
Il clima opprimente e da guerra fredda non lasciano indifferenti né David Bowie, né Visconti. La stessa Heroes parla di una storia d’amore tra due persone divise da un muro, il muro di Berlino. La leggenda vuole che Bowie abbia visto dalla finestra un bacio tra Tony Visconti e una ragazza e abbia fantasticato sulla loro storia, arrivando a scrivere il testo in pochissimi minuti.
L’album si apre con Beauty And The Beast.
Tutto il disco ha un enorme debito nei confronti della musica tedesca. Già nel precedente Low le influenze erano chiare. Qui incontriamo nuovamente i Kraftwerk – V-2 Schneider, come il nome di uno dei membri del collettivo tedesco – i Neu! e ovviamente i Can. Non mancano nemmeno le parti strumentali, in maniera minore rispetto a Low, ma comunque presenti.
Sense Of Doubt – che sarà pubblicato anche come singolo – Moss Garden e Neukoln.
Sense Of Doubt è una delle tracce più dark e tenebrose di “Heroes”, con un motivo di quattro note discendenti al pianoforte giustapposto a un inquietante sintetizzatore che sembra arrivare dalla colonna sonora di un film del cinema espressionista tedesco degli anni trenta. Brian Eno ha l’idea di scrivere il pezzo e di far suonare Bowie secondo le indicazioni della carte delle Strategie Oblique per quello che riguarda le sovraincisioni finali della traccia, con Eno intento a rendere tutto il più simile possibile e Bowie a enfatizzare le differenze. Un pezzo nato e concepito attraverso criteri totalmente differenti tra Brian Eno e David Bowie. Questo è il loro pezzo più personale.
In studio di registrazione David Bowie non è da solo. Eno collabora con lui attivamente, stimolando la creatività dell’ex Duca Bianco. Accanto a lui ci sono il produttore Tony Visconti, Carlos Alomar, Dennis Davis, George Murray. Al disco collabora anche Robert Fripp. Quella con il chitarrista dei King Crimson è una delle collaborazioni più sorprendenti dell’intera carriera dell’ex Thin White Duke. La leggenda vuole che Fripp abbia registrato tutte le sue parti di chitarra in una sola giornata, compreso lo storico lamento della chitarra proprio in “Heroes”
Qualche nota sulla storica copertina: l’immagine viene scattata dal fotografo giapponese Masayoshi Sukita e ispirata ai lavori dell’artista tedesco Erich Heckel, in particolare all’opera Roquairol, che servì da modello anche per la copertina dell’album The Idiot dell’amico Iggy Pop, a cui Bowie collaborò e che fu pubblicato lo stesso anno di “Heroes”.
Ancora oggi mentre festeggia quarant’anni, “Heroes” viene considerato uno dei dischi fondamentali della sterminata carriera di Bowie. Un disco più sobrio del precedente Low, ma ancora una volta un viaggio nella mente di uno dei più geniali creativi dello scorso secolo.
Dopo la registrazione del disco Bowie si imbarca per un tour mondiale – ne uscirà fuori anche un album dal vivo – e la scrittura della terza parte della trilogia berlinese. Ancora una volta con Brian Eno.