Negli scorsi giorni è uscito il nuovo LP di Steven Wilson, voce dei Porcupine Tree: To The Bone. Ne parliamo su Diario di Rorschach
Steven Wilson è un artista controcorrente. Un personaggio dalle mille personalità. Un camaleonte. Voce e leader dei Porcupine Tree, artista solista di gran successo, produttore. Rappresenta il collante tra i gruppi prog anni Settanta – Genesis, Yes, Pink Floyd – e le nuove generazioni di musicisti.
Negli scorsi giorni è uscito il suo nuovo disco. Un disco accessibile. Elegante. Sorprendente. Sono questi alcuni aggettivi che saltano fuori ascoltando il nuovo LP – il quinto per essere precisi – di Steven Wilson, To The Bone. Anticipato da diversi singoli – Pariah, The Same Asylum As Before, Song Of I, Permananting, Refuge – l’LP è un mix di diversi generi, abilmente tenuti assieme dal talento cristallino e maniacale di Wilson.
Non sorprendetevi di ascoltare brani quasi trip-hop – il crescendo di The Song Of I, tanto per citare un pezzo – che si sposano perfettamente con altri dall’anima decisamente più rock come l’opener To The Bone, chiaro riferimento proprio ai Pink Floyd, ma anche agli Stones e ancora al trip-hop tutto in un unico brano, o come la sorprendente Permanating che mostra palesi e sorprendenti affinità (!) col mondo ABBA.
Ma To The Bone fa di più. E’ un disco costante, una lucida autoanalisi sui tempi che viviamo – in primis la presenza/invadenza di Facebook, citato in Pariah che vede la collaborazione con la cantante israeliana Ninet Tayeb – dove l’artista ha anche modo di parlare di sé stesso e del suo compito. In mezzo ci sono trent’anni di eccellente carriera nel carrozzone musicale.
Il disco diventa una lucida, lucidissima analisi sui tempi che stiamo vivendo. Le tematiche trattate nei singoli brani parlano di sociale, vita quotidiana, immigrazione – nella splendida Refuge dedicata agli immigrati siriani – e politica.
La critica ha applaudito da subito il nuovo lavoro di Wilson, benedicendo questa nuova fase e creando affascinanti paragoni con Peter Gabriel, altro artista citato in To The Bone. Basti pensare ai duetti di Wilson che ricordano in parte quelli che Gabriel realizzò negli anni Ottanta. Ci viene in mente il duetto con Kate Bush nell’ormai storica Don’t Give Up.
Il risultato finale è un disco che molti hanno battezzato come pop – nel senso più colto del termine – il che non è necessariamente un male. Specie quando si parla di un’artista a tutto tondo come Steven Wilson.
La voce dei Porcupine Tree si conferma artista maturo e preparato, capace di cavalcare l’onda di differenti generi musicali, restando coerente alla sua idea di Musica anche quando questa si fa può morbida e meno progressiva. In attesa di capire quando e come torneranno i Porcupine Tree, la carriera solista di Wilson si dimostra piena di sorprese. To The Bone è una di queste, buon ascolto e buon viaggio.