Tutti giù per terra, l’opera prima dello scrittore torinese Giuseppe Culicchia. La recensione del romanzo su Diario di Rorschach

Molte volte capita che alcuni romanzi riescano ad adattarsi così falcimente alla realtà da farli apparire come totalmente fuori da ogni schema temporale.
Queste opere, di solito fondate su una profonda analisi della società odierna, oltre ad una riflessione su quanto fatto (e non) per comprendere lo scenario descritto, permettono anche di osservare in maniera differente la quotidianità al punto da confrontarla con quella raccontata.
Fra i tanti romanzi senza tempo è possibile ritrovare anche Tutti giù per terra (edito Garzanti, 1996) dello scrittore torinese Giuseppe Culicchia.
Tutti giù per terra, da cui è stato tratto l’omonimo film di Davide Ferrario con Valerio Mastandrea, segna tanto uno spaccato tra generazioni – in questa specifica situazione quella degli anni novanta e quelle precedenti – quanto una condizione giovanile che si ripresenta puntualmente nel contesto italico.
La trama ruota attorno le vita di Walter, ventenne diplomato dal futuro incerto e dalle prospettive ben poco edificanti per il figlio di un operaio.
La sue giornate si dividono fra la famiglia, in cui ha un rapporto di amore/odio con il padre che lo accusa spesso e volentieri di non essere ambizioso, l’Università, che comincia in maniera spensierata senza mai dare un esame, e il servizio civile, svolto in un centro accoglienza particolare dal nome C.A.N.E (Centro accoglienza nomadi ed extracomunitari).
Nel suo rapporto con la quotidianità, quindi, Walter si confronta con una realtà che non è proprio quella che si aspettava, dove sfruttamento, opportunismi del momento e situazioni imbarazzanti generate dall’ignoranza regnano nella grigia Torino che sforna solamente disoccupati e operari della FIAT.
Tutti giù per terra, romanzo d’esordio di Culicchia, è un lavoro particolare grazie ad alcune peculiarità che in un certo senso lo rendono il capostipite del pulp all’italiana.
Infatti, anticipando di un anno i cannibali (il gruppo di scrittori che ha reso il genere un cult nella letteratura contemporanea del nostro Paese), Culicchia funge da apripista ad una tipologia letteraria esplosa in quegli anni.
Questo tratto è riscontrabile in più elementi che vanno dalla brevità della storia, 131 pagine che praticamente contengono un concentrato di situazioni riguardanti la vita di tutti i giorni, fino al ritmo incalzante che non solo permette rapidi cambi di scena ma anche l’emergere di sensazioni differenti in base ai personaggi coinvolti.
La caratteristica, tipica del genere al punto da far immergere totalmente nella lettura, rivela diversi tratti della personalità del protagonista che da un lato compie un percorso interiore nel passaggio dall’adolescenza alla maturità e dall’altro scopre, amaramente, le avversità del mondo esterno.

Proprio l’ultimo elemento è messo in risalto grazie alla presenza di personaggi a dir poco sui-generis – quali l’amica Enza, il radical chic Castracan o il collega al C.A.N.E Pasquale – che riescono tanto a descrivere i “mali” dei nostri giorni quanto i diversi approcci della società nei confronti di ragazzi di estrazione differente.
L’unione di questi punti, inoltre, forma la base per rendere questo romanzo caratteristico e fuori da ogni schema temporale.
La creazione di una realtà che, ahimè, si ripropone ciclicamente nella Penisola permette a Tutti giù per terra di inquadrare una visione specifica in cui, grazie al linguaggio semplice e di impatto, viene perfettamente dipinta una tipica situazione italica.
Infine, grazie alla leggerezza – unità ad una comicità spesso amara – con cui vengono affrontati diversi temi (politica, famiglia, sesso, valori ed istruzione), il protagonista diviene uno di noi, con le sue paure, le sue incertezze e la sua forza nell’affrontare una vita totalmente differente da come ognuno la immagina.
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