Branchie, il romanzo di Niccolò Ammaniti nato da una tesi in biologia. La recensione su Diario di Rorschach

Fino a che punto può spingersi l’immaginazione di una persona?
E’ forse proprio questa la domanda che si è posto Niccolò Ammaniti nel suo Branchie, romanzo d’esordio dello scrittore romano, edito Ediesse (1994) e poi Einaudi (1997) con sostanziali modifiche dell’autore.
Sono proprio le prime pagine a far appassionare il lettore a questo romanzo, in quanto la storia che ruota attorno alla sua stesura è, a dir poco, affascinante e surreale.
Infatti, nella premessa l’autore rivela la storia, infinita ed imcompiuta, della sua tesi in biologia che, fra esperimenti e resoconti, finiva per diventare, ogni volta, un vero e proprio racconto strutturato.
Nasce così Branchie, romanzo pulp all’italiana in cui vivere un’avventura mozzafiato dalle mille sfumature tra Italia ed India.
La trama narra le vicende di Marco Donati, trentenne romano proprietario di un negozio di pesci, che dopo aver scoperto un cancro all’ultimo stadio ai polmoni, decide di vivere la propria esistenza alla giornata e senza regole.
La sua routine viene totalmente stravolta da una lettera, invita da un’anziana signora, che lo invita a Nuova Delhi per costruire l’acquario più grande dell’India.
Arrivato nello stato asiatico, dopo essere scampato ad un gruppo di trafficanti di organi che lo intercettano durante il viaggio in aereo, si ritrova nella metropoli senza soldi e totalmente spaesato.
Un incidente, dove cade in una buca profonda, lo porta all’incontro con la Banda dell’Ascolto Profondo (BAP), una band sperimentale che predilige le atmosfere cupe delle buche profonde, che stravolgerà totalmente la sua esistenza.
La riscoperta della bellezza di rimanere in vita, grazie anche ad un rapporto con Livia – la ragazza belga del gruppo-, i tanti colpi di scena e le rocambolesche fughe dagli arancioni di Franco e dell’orrendo Subotnik, rendono Marco un nuovo tipo di personaggio che, nelle diverse fasi della narrazioni, si trova a diventare sempre più eroe per caso in un mondo fondato su falsa moralità e atmosfere surreali.
L’opera prima di Ammaniti oltre ad essere ad un libro da leggere tutto d’un fiato, per assaporarne l’effettiva “bonta”, si rende piacevole per diversi elementi, peculiari tanto del genio creativo dell’autore quanto dello specifico genere letterario.
Ciò che emerge prepotentemente nella narrazione è, senza dubbio, il ritmo incalzante della storia che, unito a colpi di scena in sequenza, rende appassionanti le disavventure senza fine del protagonista.
A questo elemento, fondamentale per l’intero romanzo, se ne aggiungono altri che investono tanto i personaggi quanto i luoghi rappresentati.

Il surrealismo di Branchie, caratteristico di ambientazioni e soggetti, da un lato vivacizza l’intero arco narrativo, facendo comparire di volta in volta dei personaggi sopra le righe (come lo spassoso Gruppo spurgo fogne appilate, GSFA, guidato dal sardo Cubeddu), e dall’altro rende più vicina la realtà che viene descritta, facendo riferimento ad una quotidianità prettamente italiana, in modo da immergere più facilmente il lettore nelle ambientazioni presenti.
Ulteriore punto di forza è l’ampia riflessione su argomenti scottanti (il cancro, la povertà, la giustizia, il consumismo sfrenato …) dove, grazie alla leggera trattazione, si consente un’analisi del mondo che ci circonda senza la pesantezza, e la superficialità, tipica di queste problematiche.
Infine, oltre all’originale chiusura, è da segnalare anche la parte riguardante il post narrazione.
La descrizione della vita dei singoli, difatti, non solo permette di andare al di là del classico finale E vissero felici e contenti ma sembra quasi immaginare uno scorrimento naturale della vita, in cui i personaggi portano avanti un proprio percorso di vita.