Storie di sport – Una vita da mastino: c’era un uomo chiamato Ron Artest

Storie di sport, nel giorno del suo ritiro dall’attività agonistica, celebra il grande Ron Artest. L’uomo dai due nomi improponibili nel ricordo del Diario di Rorschach

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Storie di sport - Ron Artest
Storie di sport – Ron Artest

La difesa è uno degli aspetti più importanti di qualsiasi sport.

Nel basket, in particolar modo, questa viene concepita come ancor più importante, a causa degli alti ritmi delle partite e della particolare abilità nell’applicare un gioco difensivo.

Per il suo ritiro dalla pallacanestro giocata, Storie di sport rende omaggio ad uno dei maggiori interpreti difensivi dell’NBA, una volta noto come Ron Artest.

La cattivissima ala piccola, croce e delizia di diversi parquet a stelle e strisce (e non solo), dice addio alla basket giocato, in cui potrebbe rientrare come allenatore, dopo ben 19 stagioni fra i professionisti.

Per Ron Artest (alias Metta World Peace alias Panda’s Friend, tanto per farvi capire il personaggio) la palla a spicchi è sempre stato qualcosa di più di un semplice gioco, sin dalla più tenera età.

A causa della disastrata situazione familiare, che influisce tantissimo sul suo carattere, ai genitori di Ron viene consigliato di iscrivere il figlio ad una squadra di basket, dove avrebbe anche socializzato con suoi coetani, per tenere a bada quella sua propensione alla rissa.

Il piccolo, a disagio fino a quel momento, scopre un mondo alla sua portata in cui si sente veramente protagonista e che, pian piano, lo proietta nel mondo dei grandi prima con la Salle Academy High School e poi con la St. John’s University.

Dopo l’anno da senior con la St. John’s, chiuso con una media di 14.5 punti, 6.5 rimbalzi e 4.2 assist, l’ala decide di far il grande salto e, dichiaratosi al Draft 1999, viene prontamente arruolato dai Chicago Bulls con la pick n° 16.

Le tre stagioni in Illinois non sono particolarmente da ricordare per il giocatore ma, grazie alle sue prestazioni, si mette in mostra nella Lega tanto da riuscire a cambiare canotta.

Con gli Indiana Pacers conosce il miglior periodo della sua vita sportiva, giungendo, grazie all’ottima media di 18,3 punti, 5,7 rimbalzi e 3,7 assist, tra le riserve dell’All Star Game e tra i migliori difensori della stagione.

Gli anni nell‘Indiana, però, lo portano agli onori delle cronache anche per un increscioso teatrino il 19 novembre 2004: nella partita contro i Detroit Pistons, al Palace of Auburn Hills, è protagonista, con Ben Wallace e Stephen Jackson, di una mega rissa che gli costerà ben 73 partite.

La sua incontenibile testa calda, e i successivi problemi di adattamento ai nuovi Pacers, lo portano ad ulteriori spostamenti fra le franchigie che lo consacreranno a vero e proprio mastino della propria metà campo.

Sacramento e, soprattutto, Houston, infatti, gli permettono di raggiungere un livello tale da poter figurare tranquillamente fra i migliori giocatori di RS e PO, oltre ad una “corona” particolare fra le fila dei difensori.

Alla sua carriera, però, manca ancora qualcosa di importante e la stagione 2009/2010 è quella delle scelte.

Proprio per questo motivo, dopo la free agency di quella estate, decide di firmare per i Los Angeles Lakers del guru Phil Jackson, già quattro volte campione con i giallo-violla in precedenza, e dell’amico/nemico Kobe Bryant.

La stagione 2009-2010, che culminerà con il sedicesimo titolo per i lacustri, sarà in assoluto la migliore per il giocatore che, oltre a diventare un riferimento fisso per il roster, si rende protagonista nelle Finals con i Boston Celtics.

Gli anni successivi, in cui ritorna spesso e volentieri il vecchio, caro Ron Ron (per conferme chiedere ad Harden), volano via fra alti e bassi tanto per i vari cambi sulla panchina Lakers quanto per un inesorabile declino, in termini fisici, del giocatore.

In questo periodo Ron/Metta/Panda’s comincia un vero e proprio tour mondiale che lo porterà prima ai Knicks, poi in Cina, per finire nel nostro campionato (con Cantù).

Nel 2015 ritorna fra i big del basket, con la maglia dei Lakers, con un ruolo più che marginale.

Per due intere stagioni, difatti, aiuta la squadra in termini di crescita dei giovani e si limita a poche apparizioni agli ordini dei differenti coach ruotati nell’orbita losangelina negli anni.

Alla fine dell’attuale RS, con un contratto non rinnovato dalla nuova dirigenza, decide di abbandonare il mondo dell’agonismo.

La sua aggressività, i suoi particolari movimenti e la personale meccanica di tiro, rimarranno per sempre legate alle Storie di sport grazie alle sue prestazioni che lo hanno definitivamente consacrato fra i mastini della difesa nel grande mondo della pallacanestro mondiale.

 

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