Kurt Cobain, il profeta del grunge anni ’90. A 23 anni dalla sua morte, il ricordo del Diario di Rorschach di un personaggio straordinario

Nel giorno dell’anniversario della sua morte, il Diario di Rorschach rende omaggio ad una delle personalità musicali più incasinate e significative degli anni ’90: Kurt Cobain.
Il celebre leader dei Nirvana, morto suicida all’età di 27 anni, si è fatto largo nella scena rock internazionale non solo per le nuove sonorità ma anche per il mix di genio e sregolatezza che ha sempre caratterizzato la sua personalità.
Nato ad Aberdeen (Washington) da Donald Leland Cobain e Wendy Elizabeth Fradenburg, la vita di Kurt Cobain cambia totalmente all’età di sette anni quando sua zia Mary gli regala una chitarra elettrica per il suo compleanno.
Con il tempo, andando contro il parere della madre, il piccolo Kurt comincia a strimpellare sempre meglio quello strumento, tanto da innamorarsene e cominciare a scrivere suoi brani.
A tutto ciò, il figlio di Donald e Wendy, aggiunge un’ulteriore caratteristica al suo stile tutto personale: comincia a suonare con la mano sinistra, pur essendo ambidestro, per auto attribuirsi una peculiarità in tutto l’ambiente.
Quella passione nata da bambino inizia a dare i suoi frutti nel 1987 quando, dopo aver incontrato Krist Novoselic, fonda prima gli Stiff Woodies, con Aaron Burckhard alla batteria, e poi i più famosi Nirvana.
La nuova band, il cui nome si ispirava al concetto buddista della libertà dal dolore e dalla sofferenza, nonostante le difficoltà iniziali comincia a spopolare nei locali di Seattle e il loro stile, crudo, assordante ed inevitabilmente unito a concetti socio-politici, inizia a farsi strada in tutti gli States.

L’affermazione musicale arriva due anni dopo con Bleach, che deriva da una campagna pubblicitaria dell’epoca contro l’AIDS in cui si invitava i tossicodipendenti a pulire i loro aghi con la candeggina, dove, accompagnati dal batterista Chad Channing, i Nirvana riescono ad imporsi nell’ambiente rock con un genere del tutto originale, il grunge, dal tono pesante e dalla provocazione costante.
Con l’inizio degli anni ’90 il gruppo diventa un punto di riferimento per un’intera generazione: sostituito Channing con Dave Grohl alla batteria, i Nirvana si confermano tra i big della musica mondiale attraverso la produzione di altri cinque album, tra cui Nevermin, In Utero ed MTV Unplugged in New York, che consacrano la band fra le divinità del rock e non solo.
Di pari passo con la popolarità, però, cresce anche il malumore nell’animo di Kurt Cobain; il perverso rapporto con Courtney Love, da cui avrà una figlia (Frances), il peso di una notorietà inaspettata che poteva facilmente portare ad un’ingiustificata omologazione e l’uso continuo di droghe pesanti, genera nell’autore un malessere tale da gettarlo più volte in uno stato depressivo al limite dell’immaginabile.
Dopo diversi tentativi di suicidio, giunti nella fase più acuta del rapporto con la compagna, Kurt decide di compiere il gesto estremo i primi giorni di un soleggiato aprile del 1994.
Viene ritrovato solamente tre giorni dopo il suicidio, avvenuto il 5 aprile, da Gary Smith, un elettricista arrivato a casa sua per sistemare l’illuminazione di sicurezza.
Nella lettera di addio alla vita terrena, diretta all’amico immaginario Boddah, Kurt Cobain, citando una canzone di Neil Young, poi ripresa anche dai Queen, scrive:
“It’s better to burn out than to fade away (È meglio bruciare in fretta che spegnersi lentamente)”
La sua pur breve vita è riuscita a farci ereditare un grande partimonio della cultura mondiale: le sue musiche, piene di sentimenti discordanti e ritmi duri, e la sua visione di un mondo troppo spesso distratto da ciò che conta veramente, rimarranno per sempre scolpiti nella mente dei più grazie alle gesta di quel bambino che a sette anni cominciò a prendere una chitarra in mano.