Black Sabbath, il suono oscuro dell’heavy metal

Dopo l’ultimo concerto dei Black Sabbath, Diario di Rorschach propone una breve biografia sulla band heavy metal più influente di sempre


(Black Sabbath)
What is this that stands before me?

Figure in black which points at me
Turn around quick, and start to run
Find out I’m the chosen one
Oh no

Big black shape with eyes of fire
Telling people their desire
Satan’s sitting there, he’s smiling
Watches those flames get higher and higher
Oh no, no, please God help me

Birmingham, 4 Febbraio 2017. Ultima tappa del The End Tour. Ultimo concerto dei Black Sabbath, band iconica formatasi proprio a Birmingham quasi cinquant’anni prima.
La storia dei Sabbath è fatta di sorprese, addii e clamorosi ritorni. Facciamo un viaggio nel tempo e spostiamoci nel 1970.


Salto indietro.
Il grande successo del gruppo si deve all’originalità che distingue i Sabbath sin da subito. Sin da loro LP d’esordio Black Sabbath (1970). Questo disco si distingue da quelli di colleghi illustri come Deep Purple e Led Zeppelin in quanto più aperto al blues, al rock e più in generale alle contaminazioni che faranno di Black Sabbath un gustoso antipasto del genere doom. Ma anche dell’heavy metal. Basti citare N.I.B., Black Sabbath e Evil Woman.
I Black Sabbath sono paurosi, ascoltare un pezzo come Black Sabbath, con la pioggia che scende e un riff pesante e oscuro non può lasciare indifferenti. Non negli anni settanta. C’erano gli hippy, la filosofia peace&love, il rock sfrenato e sessuale. E poi c’erano i Black Sabbath, qualcosa di diverso, di completamente diverso.

D’altronde i quattro musicisti sono persone nate povere in condizioni assai precarie. Ozzy Osbourne viene da una famiglia di operai poverissima. A quindici anni già lavora come meccanico, idraulico, macellaio. Tony Iommi è un operaio di un officina e durante un turno una pressa gli amputa le falangi superiori del medio e dell’anulare destra. Solo grazie a delle protesi riesce a riprendere il mano la chitarra elettrica. Bill Ward lavora come camionista. Insomma i ragazzi facevano parte della middle class e mai si sarebbero sognati di diventare delle rockstar, tantomeno di incidere un disco. 

Paranoid esce verso la fine del 1970 e alza l’asticella proponendo un paio di brani indimenticabili – War Pigs, Paranoid, Iron Man – e testi che parlano di guerra, droga e tecnologia. E follia. Il quartetto diventa celebre anche per la sua passione per la magia nera e per un’aura di mistero che circonda i quattro. 


Paranoid è il capolavoro assoluto della band. E’ un album indimenticabile che ancora oggi mantiene intatta la sua oscurità. Il secondo album del gruppo mette in mostra il carisma di Ozzy Osbourne. L’incredibile duttilità ritmica di Bill Ward. I grandi riff di Tony Iommi, il leader del gruppo.
Il talento compositivo di Terry Butler che scrive buona parte dei testi. Il tour di Paranoid dà ai Sabbath una visibilità ricercata e voluta, ma anche pericolosa.

La leggenda vuole che quando incidono la canzone Paranoid lo fanno per riempire il disco in quanto le canzoni incise non erano sufficienti. La canzone è ideata in una mezzora scarsa e registrata in meno di due ore. Diventa il simbolo dei Sabbath, oltre a battezzare il secondo disco proprio con il nome Paranoid.


Il quartetto entra negli anni settanta con due grandi album a cui segue Master Of Reality del 1971 che propone la formula vincente dei precedenti due dischi appesantendo il suono in brani come Into The VoidSweet Leaf e soprattutto Children Of The Grave. Il particolare quest’ultimo brano rappresenta una nuova visione di pensiero, lontana da quella Peace & Love degli hippy. La realtà – ci dicono i Sabbath – è oscura, corrotta e difficile da gestire. Viviamo in una società sporca e ipocrita. Tanto vale saperlo.
Per il loro terzo disco Tony Iommi e Geezer Butler abbassano di un tono e mezzo l’accordatura di chitarra e basso ottenendo un suono ancora più oscuro e pesante. Questa tecnica verrà utilizzata in futuro specie per il genere stoner.


Vol. 4 (1972) è un LP ancora più heavy, lontano dal suono cupo e blueseggiante degli esordi, influenzato dal genere progressive che in quel momento conosceva il suo apice grazie a Genesis, Yes, Pink Floyd, Jethro Tull, King Of Crimson. Tra i brani spiccano Snowblind, inno alla cocaina, Changes e Cornucopia.

Se Master Of Reality era il disco della marijuana – Sweet Leaf era dedicata proprio all’erba – Vol. 4 è il disco della cocaina. Le note interne dell’album ringraziano in tono scherzoso “the great COKE-cola”, altro riferimento esplicito alla suddetta droga camuffato da ringraziamento alla coca-cola. Tra le hit dell’album vi è Changes, una ballad in cui Osbourne canta accompagnato solo da pianoforte e mellotron, che presenta un testo insolito per lo stile del gruppo, dato che parla di una finita relazione amorosa. Altro brano piuttosto noto è anche il già citato Snowblind, uno dei più discussi della loro carriera.


Sabbath Bloody Sabbath del 1973 cambia le carte in tavola. I ragazzi di Birmingham reclutano il tastierista Rick Wakerman degli Yes per dare al loro sound una componente ancora più progressive che funziona specie in Who Are You? e Spiral Architect, unita a un sound nero e oscuro, da sempre marchio di fabbrica della band di Iommi. Sabbath Bloody Sabbath rappresenta l’apice della formazione classica dei Black Sabbath, un apice durato ben cinque dischi, tutti ineguagliabili.

La grande caratteristica dei Black Sabbath nella loro storia è stata quella di aver anticipato diversi generi. Abbiamo parlato di heavy metal, doom, rock n’ blues. Nella loro sterminata discografia il gruppo ha praticamente suonato tutti i generi rock, modificando qualcosa nel sound in ogni LP.

E’ quello che accade nel 1975 quando esce Sabotage, figlio di una produzione certosina e della presenza sempre più ingombrante dei sintetizzatori.

Sabotage segue la scia dell’album precedente utilizzando intensamente sintetizzatori, effetti psichedelici e sonorità particolari per il gruppo come gli arrangiamenti vocali in stile russo nel brano Supertzar uno dei brani più folli del Black Sabbath. Non mancano alcuni brani dalle sonorità decisamente heavy metal caratteristiche dei primi tempi, come l’opener Hole In The Sky o Symptom Of The Universe.

La peculiarità che rende quest’album più unico che raro è il fatto di essere uno dei più pesanti mai realizzati dalla formazione originale e assieme uno dei più sperimentali e progressivi in assoluto. Symptom Of The Universe è considerato da alcuni come antesignano del thrash metal, mentre a metà dello stesso brano si inserisce una inaspettata coda di chitarre acustiche.

Inizia così la fase calante del gruppo che registra Technical Estasy (1976) e Never Say Die! (1978) ma l’arrivo di una nuova generazione di musicisti e il cambiamento dei rapporti nella band fa il resto. Alla fine degli anni Settanta arriva il punk in tutto il mondo. Si diffonde la musica elettronica. Tutto cambia.


Nel 1979 Ozzy viene cacciato dalla band che lo rimpiazza con Ronnie James Dio. La nuova formazione pubblica Heaven And Hell nel 1980. Chi crede che i Black Sabbath siano finiti si sbaglia di grosso. Tutt’altro. L’entrata in scena di Ronnie James Dio dona nuova creatività al trio Iommi Butler Ward. Il disco ricalca alcune delle caratteristiche principali della neonata NWOBHM, come ad esempio lo stile tipicamente rockeggiante dei riffs di chitarra di Tony Iommi, che mutano profondamente, divenendo più elaborati ed espressivi.

L’anno successivo la band pubblica Mob Rules. Segue un periodo tormentato.

Tutti gli elementi storici della band lasciano la band, eccezion fatta per Iommi che sarà sempre l’icona e la guida spirituale dei Sabbath. Per Born Again (1983) avviene un nuovo cambio con Dio che viene sostituito da Ian Gillan, ugola dei Deep Purple uscito dal gruppo dieci anni prima. La situazione non regge e Iommi resta nuovamente da solo. Recluta quindi un altro ex cantante dei Deep Purple, Glenn Hughes e rimette su una band per dare vita a Seventh Star. Pensato come disco solista di Iommi, per doveri contrattuali venne trasformato in un album dei Sabbath a tutti gli effetti, ma non ottiene il successo sperato.


Altro giro altra corsa, nel 1987 esce The Eternal Idol con l’ennesima rivoluzione nella band. Tony Martin è la nuova voce dei Sabbath. Resterà nella band fino ai successivi dischi, ovvero Headless Cross (1989) e Tyr (1990).

Per Dehumanizer (1992) Iommi prova a reintegrare lo straordinario James Dio in formazione come cantante ma ancora una volta Ronnie lascia i Sabbath facendo rientrare Martin che registrerà ancora Cross Purposes (1994) e Forbidden (1995). Capirci qualcosa diventa estremamente esagerato. La formazione dei Sabbath post-1979 è un viavai di turnisti, musicisti, cantanti col solo Iommi a reggere la baracca. Fare chiarezza è estremamente difficile e probabilmente si sarebbe continuato così ancora per un bel pezzo, se non fosse che nel 1998 per celebrare i trent’anni di carriera della band, Iommi si riavvicina ai vecchi compagni per dare vita a un tour celebrativo, che verrà anche registrato su CD. Si tratta di Reunion, titolo poco originale ma i contenuti del disco mostrano una band in straordinario stato di forma che presenta praticamente tutti i grandi successo dei primi Black Sabbath. I migliori.


A questo punto c’è chi vorrebbe una reunion a tutti gli effetti ma in realtà dal 1998 al 2013 non accade quasi nulla. Escono diverse collezioni, diversi bootleg ma niente sembra muoversi sul serio. Tutto cambia il 10 Giugno 2013 quando viene pubblicato 13, ultimo disco dei Sabbath. La formazione è quella originale se non fosse per l’assenza di Bill Ward che non ha preso parte alla festa per doveri contrattuali, sostituito egregiamente da Brad Wilk, dietro le pelli nei Rage Against The Machine.

Il disco, prodotto da Rick Rubin, riproduce fedelmente il suono dei Sabbath ai giorni nostri: cambi di tempo, ritmi lenti e inquietanti, riff granitici, la voce sbeffeggiante e inquietante di Osbourne: i Sabbath sono in gran forma. La formula viene aggiornata, ma resta sempre affascinante.

13 è un viaggio nell’universo dei Sabbath. I tre musicisti sembrano volersi presentare a schiere di giovanissimi, presentando il meglio del loro repertorio. La conclusiva – su vinile – Dear Father si chiude con dei rintocchi di campane, esattamente come iniziava il brano Black Sabbath del primo, mitico LP.


Arriviamo così ai giorni nostri, cinquant’anni e quasi cento milioni di dischi dopo. Oggi i Sabbath sono semplicemente Leggenda. Citare tutti i nomi dei gruppi influenzati dai Nostri è praticamente impossibile. Basti dire che la scena heavy metal, quella grunge, persino quella stoner è figlia dei quattro musicisti inglesi che sono stati anche campionati in diversi brani hip hop (chiedete ai Cypress Hill!).

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