Nel giorno del suo ottantesimo compleanno Diario di Rorschach rende omaggio a uno degli allenatori più amati nel mondo del calcio: Carlo Mazzone
Battere la Roma? È mio dovere provarci. Ma è come uccidere la propria madre (Carlo Mazzone)
Diario di Rorschach rende omaggio a Carletto Mazzone con la sua rubrica Storie di Sport. Oggi Mazzone compie ottant’anni. Il suo modo di intendere il calcio, il suo atteggiamento costantemente in bilico tra professionalità e romanità verace ne hanno fatto un’icona. Ma Mazzone è molto di più. E’ un allenatore sopra le righe, ma anche un uomo serio, onesto e sanguigno. Carlo Mazzone nasce a Roma il 19 Marzo 1937. La sua carriera da calciatore non è particolarmente brillante.
Milita nella Roma ma registra solo due presenze, poi viene venduto alla Spal. Anche qui la sua permanenza dura pochissimo. Viene girato al Siena in Serie C e qualche mese dopo alla squadra di calcio dell’Ascoli, il Del Duca Ascoli dove rimane fino alle fine della sua carriera giocando come capitano della squadra.
Mazzone ha l’atteggiamento del leader nelle squadre di provincia. Sembra nato per guidare le compagini di categorie inferiori e infatti diventa allenatore proprio con la squadra dell’Ascoli.
La sua permanenza nella panchina dell’Ascoli dev’essere temporanea. Il presidente sta già cercando un sostituto per l’inesperto allenatore ma i risultati fanno presto cambiare idea a Costantino Rozzi. L’anno seguente Mazzone sfiora la promozione. Ma è solo questione di tempo. Nel giro di pochi anni l’Ascoli passa dalle Serie C alla Serie A, conquistando due promozioni in tre anni. Non solo. Una volta conquistata la Serie A Mazzone riesce anche ad ottenere la salvezza. Il tutto nel giro di sette anni. Nel 1975 – dopo che Mazzone è già diventato un piccolo profeta di provincia – passa alla Fiorentina. Con la squadra viola conquista la Coppa di Lega Italo-Inglese – la vincitrice della Coppa Italia affrontava la vincitrice della Coppa d’Inghilterra negli anni Settanta – e ottiene un terzo posto due anni più tardi.

Abbiamo detto che sor Carletto dà il meglio con le squadre di provincia. Dopo la bella esperienza a Firenze, Mazzone passa al neopromosso Catanzaro. Vi resta due stagioni. Ottiene due promozioni consecutive, poi ritorna casa sua, ad Ascoli. Resta altri cinque anni. Ottiene altre quattro promozioni. Dopo una parentesi di una stagione al Bologna passa al Lecce nell’estate del 1986. La squadra ha appena ottenuto la salvezza e vorrebbe continuare in Serie A. In squadra milita un giovane centrocampista di talento. Si chiama Antonio Conte e diverrà uno dei pupilli di Carlo durante la sua permanenza al Lecce.
Conte già all’epoca aveva grinta e personalità. A Lecce era reduce da un grave infortunio, lo aiutai a recuperare e ci fu una telefonata importante da parte di Giampiero Boniperti per avere referenze sul calciatore. Da parte mia garantii di persona per il suo ingaggio alla Vecchia Signora. Vista la carriera che sta facendo, c’è un grande orgoglio da parte mia. Sono davvero affezionato ad Antonio.
Dopo una stagione al Pescara – 1990/1991 – passa al Cagliari dove ottiene un sesto posto che significa Coppa Uefa per la squadra sarda. Dopo un successo del genere la sua casa – la sua vera casa – lo chiama a rapporto. Si tratta della Roma. La sua squadra del cuore. Per Carletto è un sogno che si realizza. A Roma resta tre anni – dal 1993 al 1996 – ma sono tre anni fondamentali per la rosa giallorossa. A Roma l’allenatore nota un ragazzo che ha fatto parlare di sé con le Giovanili, vincendo anche una Coppa Italia. Mazzone capisce subito che quel ragazzo deve crescere, con calma ma deve crescere. Il 16 Dicembre 1993 lo fa entrare in partita contro la Sampdoria. E’ l’esordio di Francesco Totti, un altro giocatore amato da Mazzone. Nei tre anni con Mazzone Totti crescerà tantissimo e l’allenatore sarà bravissimo nell’usare carota e bastone col talento della Roma.
Per me è un grande piacere, per l’uomo, perché oltre ad essere un grande campione, che sta facendo e ha fatto la storia della Roma, Francesco è una persona splendida che si merita, umanamente, tutti i traguardi che ha raggiunto. Nel mio periodo sulla panchina della Roma Totti mi ha dato grandi soddisfazioni. Io ho avuto da subito la sensazione che fosse uno dei migliori, ma l’ho nascosto, non ho avuto pubblicamente grandi slanci nei suoi confronti: Roma è una città molto difficile calcisticamente e ho sempre avuto l’istinto di difenderlo, tenendo per me le idee che avevo su di lui. È stato un onore essere stato il suo allenatore.
Nel 1996 torna al Cagliari – altra squadra che non lo ha mai dimenticato – ma l’avventura dura pochissimo. Poi Napoli – 1997/1998 – dove resiste appena quattro partite. L’anno successivo va al Bologna. E’ il Bologna di Signori – Roberto Baggio è appena andato all’Inter – è il Bologna della semifinale di Coppa UEFA e di quella di Coppa Italia. L’anno successivo si conferma allenatore gira-Stivale e si accasa alla squadra del Perugia di Marco Materazzi. Nel 2000 passa al Brescia. Roberto Baggio – ansioso di essere allenato dall’allenatore romano – lo segue a ruota, firmando un’opzione sul contratto che lo avrebbe annullato se l’allenatore avesse cambiato squadra. Con Baggio e Mazzone il Brescia sogna. Ma non ci sono solo loro. Ci sono anche Andrea Pirlo, Luca Toni e Joseph Guardiola, un centrocampista silenzioso che stava chiudendo la sua carriera di calciatore.
Mi ricordo che a Brescia a un certo punto vedevo che non parlava mai e gli faccio: “Ahò, ma te vòi sta’ zitto?” E Guardiola: “Ma come, non ho detto niente!”. E io: “Appunto, ti prendo in giro. Non mi dici niente? Non hai osservazioni da fare?”. E lui mi diceva che era così, non contestava, apprendeva e basta.
Il 30 Settembre 2001 il Brescia gioca con l’Atalanta. I tifosi bergamaschi – con la squadra che vince 3-1 – insultano pesantamente Mazzone. L’allenatore dalla sua panchina avverte i tifosi bergamaschi: se pareggiamo, dice, vengo sotto la curva e ve meno. Risultato finale: 3-3. Il resto è Leggenda. Nella sua carriera ha avuto diverse intuizioni su giocatori e posizioni. Una su tutte: lo spostamento di Andrea Pirlo da mezzapunta a regista di centrocampo. Ruolo che farà di Pirlo uno dei giocatori più importanti non solo del Milan, ma anche della Nazionale Italiana.
Dopo Brescia si accasa nuovamente a Bologna per due stagioni e infine al Livorno dove registra la presenza numero 795 in panchina, che ne fa uno degli l’allenatore con più presenze in Serie A.
Nella sua infinita carriera ha allenato per quasi quarant’anni. Nel 2009 – in occasione della finale di Champions League – fu invitato alla partita da Josep Guardiola. Il centrocampista silenzioso nel frattempo era diventato uno degli allenatori più importanti del mondo. Guardiola all’epoca era allenatore del Barcellona che disputava la finale di Champions. Mazzone accettò volentieri l’invito dell’allievo dichiarando di tenere per la squadra spagnola. Guardiola al termine della partita – che consegnò al Barcellona la Champions League – dedicò la vittoria al suo maestro Carlo Mazzone, dicendosi orgoglioso di averlo avuto come tecnico e di ispirarsi al suo credo calcistico. Questo, infine, è Carlo Mazzone:
Sono sempre stato un cane sciolto. Avanti tutta, come un navigatore solitario. Mai avuti padrini, né sponsor. Mai fatto parte di lobby di potenti dirigenti, mai goduto del favore di giornalisti accondiscendenti o di raccomandazioni. Se ho ottenuto qualcosa lo devo a me stesso, alla mia determinazione e alla passione che ho messo nella mia carriera. E sono orgoglioso di essere un grande professionista, magari non un grande allenatore, ma certamente un professionista e un uomo per bene.