Il signore delle mosche, di William Golding, presenta un nuovo manifesto per l’umanità fondato su sopraffazione e assenza di ragione. La recensione su Diario di Rorschach

Con l’espressione Homo homini lupus, il filosofo inglese Thomas Hobbes tendeva ad evidenziare quanto la natura umana fosse talmente egoista da rendere le azioni di ognuno di noi come determinate, quasi interamente, dalla sopraffazione e dall’istinto di sopravvivenza.
Nella letteratura, questo concetto è stato ripreso più volte ma uno degli esempi più significativi è, senza dubbio, l’opera d’esordio di William Golding, Il signore delle mosche.
L’obiettivo dello scrittore inglese nel romanzo è rappresentato dalla descrizione di questo barbaro modo di fare e, al fine di esporre al meglio la propria visione, l’autore si spinge ben oltre l’ umana immaginazione .
Infatti, al contratto di altri, Golding decide che il concetto può essere inteso esclusivamente in altro modo e, proprio per questo motivo, rende protagoniste delle figure associate, di solito, a quanto di buono sia rimasto al mondo: i bambini.
Nel suo romanzo, lo scrittore inglese premio nobel nel 1983, parte da una tragedia aerea dove, con la morte di tutti gli adulti, gli infanti si trovano catapultati su un’isola deserta.
Travolti dalle tipiche paure, quali il buio, la solitudine e la lontananza dai genitori, e spaesati (almeno inizialmente) dalla nuova realtà, i superstiti decidono ben presto che è ora di organizzarsi ed affrontare la situazione creatasi.
Dopo un’iniziale tranquillità, in cui la divisione del lavora inizia a dare i propri frutti, qualcosa rompe la tranquillità quotidina e le rivalità fra gli schieramenti (quello dei cacciatori e quello dei comunitari) peggiora di giorno in giorno.
In quel preciso istante le vicende Ralph, Jack, Piggy e tutti i bambini dispersi si intrecciano tra di loro in un turbine di violenza e continua sopraffazione dei propri simili.
Il romanzo di Golding rappresenta una visione pessimistica del mondo, in cui l’uomo tende a prevalere sul suo simile facendo venir meno i principi della ragione.
Il titolo del romanzo, che allude al male, fa riferimento alla testa mozzata di un maiale circondata da mosche a cui

Simon, figura particolare (quasi spirituale) del romanzo, attribuisce l’appellativo di Signore delle mosche.
Nell’esternare questo concetto, l’autore utilizza le candide figure dei bambini che permettono di raggiungere completamente l’obiettivo attraverso la contrapposizione ingenuità della fanciullezza/ crudeltà della realtà.
In sintesi, Il Signore delle mosche riesce a cogliere in pieno il concetto espresso da Hobbes in tempi non sospetti e, attraverso l’appassionante narrazione, trascina il lettore verso un’attenta riflessione nei confronti di quanto orribile può essere l’umanità senza ragione.
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