Post Office, la vita di Henry Chinaski raccontata dal suo alter-ego Charles Bukowski. La recensione su Diario di Rorschach
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Charles Bukowski è sempre stato un personaggio sopra le righe tanto nella vita reale quanto in quella da scrittore.
La straordinaria capacità di descrivere situazioni al limite dell’immaginabile, affrontante da personaggi fuori dal comune, ha reso lo scrittore uno dei maggiori esponenti di quella corrente, in un certo senso da lui fondata, denominata Pulp.

Le abilità di Bukowski in questo tipo di scrittura gli hanno permesso, inoltre, un ulteriore salto di qualità, riscontrabile nella creazione di un alter-ego, Henry Chinaski, capace di vivere la sua personale storia in maniera del tutto surreale e grottesca.
Fra le tante avventure descritte, non può non essere citato il celebre Post Office, capolavoro letterario dell’autore statunitense datato 1971.
Post Office,al pari di altri scritti, è una sorta di opera autobiografica, adattata al genere in maniera romanzesca, in cui l’autore presenta quasi una formula, svelata man mano dalle pagine del libro, per arrivare alla felicità personale dopo aver sperimentato le delusioni di una vita non sempre in linea con le aspettative.
Il romanzo narra, appunto, le vicende di Henry Chinaski, alcolista e donnaiolo di altri tempi, che decide, illudendosi di poter fare una vita agiata e senza patemi d’animo, di lavorare per le poste.
Ben presto Henry si rende conto che non è oro tutto ciò che luccica, in quanto la realtà alle poste è totalmente diversa da quella che lui immaginava.
Immerso fra routine quotidiane e detestabili superiori, Chinaski viene scaraventato, a fasi alterne, nell’odiosa macchina burocratica delle poste, fatta di regole tanto ferree quanto inutili, da cui rimane profondamente deluso e sfinito (soprattutto mentalmente).
A fare da cornice alla vita da impiegato delle poste, ci sono le sue abitudini di tutti i giorni dove il protagonista, fra sbronze clamorose e amanti spesso più sole di lui, riesce a sfogare le frustrazioni di un lavoro che gli piace sempre meno.
Le continue peripezie di Chinaski trovano il giusto epilogo in un finale straordinario.
Alla soglia dei cinquant’anni e dopo quasi undici anni di servizio alle poste, Henry decide di

dimettersi dal ruolo di impegato, che l’aveva portato alla totale autoemarginazione, con una delle giustificazioni più rappresentative della sua figura: “Voglio fare carriera”.
Post Office, oltre ad un lavoro prettamente autobiografico, si rivela come un’opera che tende ad illustrare la crudeltà di un mondo fatto di inutili prassi e forti divisioni sociali, spesso dettate da favoritismo del momento.
Allo stesso tempo, però, si mostra anche come un romanzo che tende alla libertà, descritta in parte con i vizi del protagonista, divenute nel tempo vere e proprie manifestazioni di ribellione nei confronti della sua monotona vita, in parte con il gesto finale di lasciare una realtà che lo aveva profondamente deluso.
Il parallelismo con la realtà chiaramente si spreca, tenendo presenti questi elementi, e si rende ancor più familiare ai giorni nostri attraverso le sensazioni, vissute un pò da tutti anche se indirettamente, descritte nelle pagine.
Post Office, quindi, si presenta tanto come una critica alla quotidianità quanto come un inno di libertà per tutti coloro che, pur affrontando difficoltà enormi, riescono ad emanciparsi, eliminando la negatività di un mondo alla continua ricerca di omologazione.
“La mattina dopo era mattina e io ero ancora vivo. Forse scriverò un romanzo, pensai. E lo scrissi”(C. Bukowski, Post Office)
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