Tool

Tool, il viaggio senza ritorno nella mente umana

Che il 2017 sia l’anno buono per il nuovo disco dei Tool? Nell’attesa una biografia sulla band


Scrivere dei Tool nel 2017, a undici anni di distanza dall’ultimo disco è impresa non facile. Cercare di racchiudere in qualche riga quello che i Tool rappresentano o hanno rappresentato è quasi impossibile in quanto si rischia di dimenticare qualcosa a livello musicale, figurativo o di analisi dei testi.
Perché parliamoci chiaro, il quartetto losangelino ha estremizzato il concetto di perfezione portandolo a un altro livello. Potremmo parlare dei tour con luci, video ed effetti visivi. Potremmo analizzare i dischi con dei packaging clamorosi. Potremmo discutere all’infinito dei testi di Maynard James Keenan e delle innumerevoli chiavi di lettura.
Il Diario di Rorshach cercherà di fare chiarezza. Cercherà di illustrare la loro storia.


OPIATE E I PRIMI PASSI


Per fare chiarezza sulla questione conviene partire da una data, quella del 1990 quando un gruppo di ragazzi inizia a provare musica e a mettere su un gruppo. Il quartetto riesce a trovare un contratto e nel 1991 vede la luce il primo demo del gruppo in tiratura limitata. 72826 esce solo su musicassetta, mentre nel 1992 vede la luce il primo EP dei Tool ovvero Opiate con il titolo che prende spunto da una frase di Karl Marx La religione è l’oppio dei popoli.
Opiate lascia intuire le potenzialità del gruppo, intrise qui in un sound tipicamente anni Settanta.

La formazione dei Tool all’epoca era composta da:
Mayanard James Keenan: voce
Adam Jones: chitarra
Paul D’amour: basso
Danny Carey: batteria

L’EP – della dura di mezz’ora – avrà un discreto successo anche grazie al brano Hush diretto da Ken Andrews mentre per i futuri video i Tool troveranno la soluzione in casa in quanto Adam Jones – il chitarrista della band – è anche esperto di effetti speciali. Ha lavorato sui set di A Nightmare On Elm Street, Predator 2, Ghostbusters 2, Jurassic Park ed è esperto di stop-motion come vedremo nei futuri video della band.


UNDERTOW: IL PRIMO LP 


Nel 1993 i Tool danno alle stampe il primo disco Undertow che rende il sound più originale grazie anche alla voce di Keenan, in grado di essere dolce, dura, sensuale, perversa allo stesso tempo. Ascoltate il singolo Sober per farvi un’idea ma anche Prison Sex, Flood e Swamp Song, ne resterete folgorati. Undertow è un disco veloce, intelligente, intenso ma anche oscuro. Il brano Sober, il cui video è girato dallo stesso Adam Jones in stop-motion, è anche un antipasto di quello che verrà: cambi di ritmo, violenza. In una parola art-metal o progressive metal.

Tool, Undertow
Tool, Undertow

Il primo disco della band avrà un buon successo specie negli anni successivi alla pubblicazione, anche se viene concepito in piena epoca grunge coi puristi che guardavano con sospetto all’ennesima band metal, nonostante la band stesse già dimostrando di avere una marcia in più, una passione per i dettagli che rendeva le loro opere perfette, aldilà del valore musicale che resta altissimo. Citiamo la batteria di Danny Carey, i suoi cambi di ritmo, la sua versatilità sono il cuore dei Tool, accanto ad Adam Jones che non è il classico chitarrista metal. Non aspettatevi assoli infiniti o riff killer ma poche intense note.
Il lato umano dei Tool emerge dai testi di Keenan, sempre interessanti, criptici e colti.


ÆNIMA E LA POPOLARITA’


Con questo bagaglio la band pubblica nel 1996 l’LP Ænima, le componenti strumentali vengono dilatate, la componente progressive entra a pieno titolo nel sound dei Tool, un saliscendi di emozioni grazie a ritmi unici e vertiginosi che diventano il marchio di fabbrica della band.
Prima però un cambio: al basso va via Paul D’amour ed entra Justin Chancellor.

La nuova formazione dei Tool:
Mayanard James Keenan: voce
Adam Jones: chitarra
Justin Chancellor: basso
Danny Carey: batteria/percussioni

Le liriche di Keenan raggiungono vertici assoluti come in Third EyeÆnema, Eulogy, H.
Si parla di fine del mondo, consumismo, sesso anale, Bill Hicks, visioni. E ancora l’amata Los Angeles, il rapporto tra droga e arte. E’ un unico calderone che ha per collante le ritmiche di Carey, il basso metallico del nuovo arrivato Chancellor e i riff semplici e inquietanti di chitarra di Adam Jones fanno il resto. Il suo strumento pesca a piene mani dagli anni Sessanta e Settanta ma ha anche una componente molto personale, in linea con il suono della band.


Se la musica viene concepita come caotica, sporca, imprevedibile, oscura, ipnotica, psichedelica, il lato umano è rappresentato da Keenan dai suoi testi e della sua voce, dalle sue invettive e dai suoi deliri e in questo senso la musica dei Tool sembra un eterno conflitto tra la parte-macchina – il suono – e la parte-umana rappresentata dalla voce del frontman.

Tool, Aenima
Tool, Ænima

Quella che fa grande i Tool è la personalizzazione del loro suono. Solo loro possono suonare questo metal progressivo, artistico, oscuro che diventa un timbro, riconoscibile dopo qualche secondo, in questo senso un brano come Forty Six & 2 rappresenta il cuore del disco. Ænima diverrà disco-simbolo degli anni Novanta. Per molti sarà il lavoro che aprirà le porte della percezione al metal, genere di per sé invecchiato decisamente male. Gli anni Novanta sono gli anni dei flop di band come Metallica o Iron Maiden. I Tool – tanto per cambiare – alzano il livello, prendono le ritmiche metal e le fondono con un suono progressivo, profondo e intrigante. Il sound dei Tool piace a tutti, agli amanti della buona musica, a quelli dei King Crimson, a quelli del rock.


GLI ANNI ZERO E LATERALUS


Chi pensa che i Tool siano sazi si sbaglia di grosso. I singoli componenti danno vita a progetti paralleli con Keenan che fonda gli A Perfect Circle. Adam Jones collabora con i Melvins e Carey suona invece coi Dead Kennedys. Nel frattempo diverse azioni legali tra la band e la casa discografica prolungano e di molto i tempi di produzione del nuovo disco.

Per placare la sete di nuovo materiale nel 2000 esce il live Salival, un LP che unisce esibizioni dal vivo di brani riletti, tra cui la splendida Pushit che qui diventa una lunga preghiera spogliata rispetto alla versione in studio. Oltre a versioni dal vivo troviamo anche delle cover, tra le quali You Lied dei Peach e soprattutto No Quarter dei Led Zeppelin, coi quali i Tool condividono l’approccio rivoluzionario al genere ma anche la passione per le copertine dei dischi.
Una menzione a parte la merita a questo punto Alex Grey, autore di alcune copertine dei dischi dei Tool. Appassionato di arte psichedelica e new age è autore della celebre copertina di In Utero dei Nirvana oltre che di quelle dei Tool e dei Beastie Boys.

Nel 2001 esce finalmente Lateralus. Ancora una volta va registrato un cambio di passo nel sound dei Tool. L’album ha una forte vena spirituale e psichedelica. La chitarra di Adam Jones che è meno heavy e diventa più stratificata e complessa. Il basso di Justin Chancellor si intreccia alla perfezione con la batteria di Danny Carey qui alla prova più sorprendente della sua carriera. Ancora una volta i cambi di passo nei brani dei Tool sono figli del suo immenso talento. L’LP si apre con The Grudge, una cavalcata che parte lenta e poi esplode, coadiuvata dall’ormai storico urlo di ventisette secondi di Keenan. Da citare anche l’esplosiva Ticks And Leeches e il dittico Disposition Reflection ma anche Parabol e Parabola con il primo brano che sembra quasi un canto tibetano e che si fonde col successivo in un’esplosione di suoni e atmosfere fuori dal tempo.


Lateralus è un disco complesso e stratificato – ancora più del precedente – e richiede innumerevoli ascolti prima di svelare la sua intrigante bellezza. E’ un disco religioso, spirituale, raccontato però da chi è antireligioso (Keenan) ma che forse, proprio per via di questa contraddizione, può spiegare meglio di altri i concetti di rabbia, paura, redenzione, fatalità.

Tool, Lateralus
Tool, Lateralus

Il brano Lateralus è invece un piccolo esperimento e merita qualche riga a parte. Per scrivere il testo Keenan ha fatto riferimento il teorema di Fibonacci, un matematico pisano del XIII secolo. Questo teorema è presente in matematica, ma anche in architettura e in fisica. Tale teorema prevede che partendo dal numero 1, i successivi numeri debbano essere la somma dei due numeri precedenti, quindi:

1; 1; 2; 3; 5; 8; 13; 21; 44 e così via

Il testo di Lateralus è diviso in sillabe, le prime due sillabe sono singole (1), poi diventano (2), (3), (5) e poi torna indietro. Keenan è probabilmente il primo autore di testi che segue un concetto matematico.

Esiste inoltre una tracklist alternativa del disco, una tracklist che segue proprio il teorema di Fibonacci mai confermata né smentita dalla band che gira in rete da diverso tempo.
Eccola:

01 – Parabol
02 – Parabola
03 – Schism
04 – Ticks & Leeches
05 – Mantra
06 – Lateralus
07 – Faaid De Oiad
08 – The Grudge
09 – Triad
10 – Eon Blue Apocalypse
11 – Reflection
12 – The Patient
13 – Disposition


10,000 DAYS E GLI ANNI RECENTI


Dopo l’enorme successo di Lateralus la band – divisa tra i diversi progetti paralleli – non rientra in studio prima del 2005, quando decide di dare un seguito al fortunato disco precedente.
Nel 2006, dopo altri cinque anni di attesa esce 10,000 Days. Attesissimo dai fan e dalla critica l’album non delude le aspettative, concentrandosi questa volta sull’immediatezza e sulla ruvidezza del suono che comunque prende sempre spunto tanto da Ænima quanto da Lateralus. Se però i precedenti LP dei Tool richiedevano innumerevoli ascolti per mostrare la loro profondità si ha l’impressione che 10,000 Days sia più immediato, più veloce e dilaniante rispetto ai precedenti lavori, più vicino a Undertow, in questo senso.

Tool, 10,000 Days
Tool, 10,000 Days

Questo non vuol dire mancanza di qualità, dato che i testi sono tra i migliori mai scritti dal carismatico Keenan, che si concentra sul rapporto madre-figlio (10,000 Days)

Daylight dims
leaving cold fluorescents.
Difficult to see you in this light.
Please forgive this bold suggestion
But should you see
your maker’s face tonight
Look him in the eye
Look him in the eye and tell him
I never lived a lie
Never took a life,
But surely saved one
Hallelujah,
It’s time for you to bring me home

ma anche sul dolore mostrato in televisione (Vicarious)

‘Cause I need
to watch things die…
from a distance
Vicariously I live while
the whole world dies
You all need it too, don’t lie

e i canti indiani (!) di Lipan Conjuring, oltre alla clamorosa The Pot.

Keenan con meticolosa puntualità cambia abito in continuazione facendo sfoggio delle sue capacità vocali ed interpretative. Sussurra, urla, si commuove, grida rabbioso con corde vocali di bambino, vecchio, donna, androgino. I continui cambi di tempi e voci all’interno del quartetto restano il marchio di fabbrica dei Tool, che dopo il tour in supporto al disco letteralmente scompaiono dalle scene, prendendosi un larghissimo periodo di stacco dalla band e diventando Leggenda. Mentre molte band pubblicano dischi ogni tre/quattro anni, la band losangelina attende il momento giusto con un metro di lavoro kubrickiano, concedendo zero interviste e aumentando l’aura di mistero e di misticismo che li circonda ormai da decadi.

Il nuovo album della band potrebbe uscire quest’anno o magari il prossimo, niente è certo. Sta di fatto che i Tool hanno seminato in maniera egregia nel loro cammino e prima o poi sorprenderanno con del nuovo materiale, questo è certo. I Tool piacciono a tutti per le linee ipnotiche di basso, per i cambi continui di batteria. Per le prove vocali. Per l’uso intelligente della chitarra. Nell’attesa godiamoci i lavori sin qui prodotti, aspettando che ci sorprendano ancora. Potrebbe accadere prima di quanto pensiamo.

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